venerdì 27 aprile 2012

Cazzomimetto: Indovina il designer

Lo sapete che il giochino dell'Indovina il designer è il mio preferito.
Adoro andare per i negozi che posso permettermi tirando ad indovinare i capi delle collezioni che non posso permettermi.
Non c'è nulla di male in questo: nel mio armadio una pregiatissima imitazione della bow bag di Miu Miu comprata in un negozio di pelletteria della Provincia fa compagnia ad un'altra altrettanto amata tracolla in nappa aviator originale di Miu Miu. Eppure vivono felici insieme sotto lo stesso tetto del bucolocale. Così come la mia primogenita, la Balenciaga, dorme sonni tranquilli vicino ad una borsa con catena dorata che più volte è stata scambiata per una Marc Jacobs che ho comprato dalla coreana di Via Vigevano (per chi sta a Milano, è un posto carinissimo fatto quasi esclusivamente di pezzi unici). Se questo vale per il mio armadio delle borse, ancora di più vale per il guardaroba.
Permettersi capi di sfilata (i più rappresentativi) o di collezione (i più abbordabili, secondo Quelli Della Moda) non fa per me, ancora di più da quando ho visto le percentuali di mark-up che vengono applicate.
Ma dio ha inventato Zara.
E noi gli saremo per sempre grate.

Si chiamano “followers”: sono quei brand o quelle aziende che non generano trend, ma li seguono.
Essi offrono al pubblico un prodotto di discreta-media qualità per soddisfare un bisogno istantaneo, intenso e di breve durata di capi d'abbigliamento ad alto contenuto moda.
Un esempio: Prada (prêt-à-porter) è una che i trend li lancia, Patrizia Pepe, Liu Jo, Asos, Zara, Cos (pronto-moda e fast-fashion) sono brand che i trend li seguono.
Fatta questa doverosa premessa, procediamo con alcuni dei casi più eclatanti sui quali sono inciampata di recente.

Dalla sfilata - Peter Pillotto PE 12

Giochi di stampe digitali, speculari, tagli decisamente sporty, silhouette semplice ma ben definita. Il duo Peter Pillotto ci sa fare con le stampe, almeno al pari di Erdem, e hanno tutta la mia stima. Peccato che mia madre quando mi ha visto (nella foto) mi ha detto: "Peccato, ti invecchia". Se fossi cuor di leone e se mi sentissi in vena di cominciare una dieta, lo comprerei.


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venerdì 20 aprile 2012

Cazzomimetto: The Laurea

Giuro, non ve lo volevo fare.
Perché mi fate sentire vecchia.
Io mi sono laureata sei anni fa.
SEI. ANNI. FA.
Io mi ci sono messa d'impegno ma se devo essere onesta non vedo la difficoltà del trovare un vestito per la propria laurea.
Non so se sia questione di maturità, di vecchiaia o, più semplicemente, di abitudine. Mi vesto per andare in ufficio da altrettanti sei anni, ormai l'idea di vestirmi formale non mi fa scatenare il panico.
Inoltre, molto dipende dalla facoltà, dall'Università e dal dress code che -probabilmente- può venire giustamente imposto. Le vie del cattivo gusto sono infinite e gli Atenei fanno bene a mettere dei paletti a queste nuove generazioni!
Io mi sono laureata in Relazioni Pubbliche (no, non allo Iulm) e in quanto relatori pubblici abbiamo tutti discusso in piedi, cosa che a mio avviso dovrebbe essere obbligatoria. Ma queste sono fisime sulla comunicazione non verbale che io ho da sempre.
Le cose sono semplici:
Vi state laureando? Non vestitevi come per un matrimonio.
Vi state laureando? Non vestitevi come bidelle.
Vi state laureando? Non vestitevi come battone che hanno appena smontato il turno.
Insomma, vi state laureando. Vi cambia la vita. Finisce la vostra vita da studentesse e comincia quella da disoccupate.
E non vi invidio per niente. Pensavo mi fosse andata di culo ammè, che mi sono laureata nei primi anni del mitico 3+2, quando di fatto fino all'anno precedente alla mia immatricolazione potevo fare 4 anni senza trovarmi obbligata a ripetere per gli anni a venire “NO, LAUREA DI I LIVELLO”. Ma in realtà m'è andata di culo lo stesso perché quando è arrivata la crisi, nel 2008 (checchè ne dicesse il fu Governo), avevo già un contratto a tempo indeterminato. Una chimera di questi tempi. Quindi sì, sono fortunella e vi faccio il più grande inboccaallupo della storia per la vostra carriera.
Detto questo, stampatevi questa parola in testa:

TAILLEUR

Sì, care mie. Una fottuta giacca e un fottuto pantalone. Ma anche una fottuta gonna, se proprio volete.
Anche se ne voglio trovare una, DICO UNA, che ha poi indossato la gonna a tubo fino al ginocchio che ha messo il giorno della sua laurea. Datemene UNA.
Prima che me lo chiediate, cosa avevo io: tailleur bianco. Ayeah. Bianco The Enemy. Proprio lui.
Era di Patrizia Pepe, quando ancora Patrizia Pepe non si dava arie di pret-a-porter con le sue collezioni pronto moda.
Avevo visto il tailleur, me l'ero provato e mi ero fatta un video. Poi l'ho fatto vedere al mio relatore.
Sì, ci stavo provando.
Disse che andava bene.
Era un tailleur con i bermuda (era l'anno dei bermuda) sopra al ginocchio, con una giacchina piuttosto corta con delle spalle un po' -diciamo- importanti (Lady Gaga era appena uscita) e un top nero sotto. E delle decolletè a punta.
ERA IL 2006. Le scarpe a punta ANDAVANO DI MODA.
I capelli ce li avevo raccolti, ma sempre per la questione della comunicazione non verbale. Avevo lo smalto chiaro e una manicure impeccabile che ancora adesso quando guardando le foto non me la spiego.
Truccata normalmente, delle sopracciglia discutibilissime e i classici brufoli da stress.
E le calze color carne, che dio mi perdoni per questo. Ero piccola NON SAPEVO.
Chiudeva il tutto la classica pelle lucida da tensione.




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martedì 3 aprile 2012

Non andare coi cantautori, che poi finisci nelle canzoni

Molti di voi non lo sapranno ma questa è una citazione di tutto rispetto.
A me l'ha detta tempo fa uno scrittore, indovinate perché.
E' di un cantautore (Flavio Giurato) che vuole mettere in guardia una dolce fanciulla dal fatto che no, non puoi pestare merde a sproposito su chicchessia senza poi aspettarti di non venire sputtanata a destra e a manca nelle canzoni (o per lo meno questo è quello che mi immagino visto che non l'ho ascoltata).
Fortunatamente (per le ex fidanzate del signor Giurato) non ha avuto poi tutto questo successo di cui preoccuparsi, ma nel caso delle blogger il rischio merdone è sempre dietro l'angolo.
Insomma con la presente ci tengo a scusarmi (?) se con l'ultimo post ho ferito la sensibilità di talune persone (due), la mia intenzione era quella di riprendere in chiave ironica non sto di certo a spiegarla perché fa tristezza. Sono certa che per l'ennesima volta qualcuno ha pensato “ecco vedi 'sta zitella, non tromba mai, per quello si fa sempre i cazzi degli altri”. Io dico solo che in linea generale è meglio essere stato citato nel post dei Migliori Limoni Evah piuttosto che in quello che segue.

Di quella volta in cui sono uscita con uno e per fortuna mi sono portata il Bancomat
C'è questo ragazzo che mi chiede di uscire e mi propone un grande classico milanese, il Blue Note.
Per chi non lo sapesse il Blue Note è uno dei locali (jazz) storici di Milano e fa parte di quella lista di cose che se vivi a Milano devi fare almeno una volta nella vita (tipo girare il tallone sulle palle del toro in Galleria Vittorio Emanuele, cercare parcheggio in zona Sempione e comprarsi uno di quelle raccolte di favole africane da un extracomunitario davanti al Foot Locker). Mi è sembrata un'ottima idea soprattutto per una neofita del jazz come me, che tutto quello che so sull'argomento l'ho imparato guardando Chicago.
Lui mi viene a prendere a casa e una volta scesa in strada noto che non c'è nessuna macchina alle sue spalle.
Nessun taxi.
Nemmeno la bici. Un carretto, un risciò, un pedalò.
Niente.
Andiamo in metro, dobbiamo scendere in Garibaldi e poi fare un pezzo a piedi.
Ora, io non vi sto a spiegare che era un freddo giovedì di gennaio del 2008.
Non vi sto a spiegare nemmeno che indossavo delle decolletè con tacco 12.
E nemmeno che indossavo un abito in modal di Vivienne Westwood della consistenza della carta da forno.
No, non ve lo dico.

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