lunedì 2 novembre 2015

Mi sposo: Non volevo essere una Bridezilla

Non volevo essere una bridezilla ma sfido chiunque ad affrontare un matrimonio e una ristrutturazione contemporaneamente, a non diventarlo.
Pensavo che sposarsi fosse fighissimo invece arriviamo a sera o peggio, al week-end, che anziché sembrare due fidanzatini cuoricini che si danno i bacini per strada, litighiamo come due parlamentari alla Camera davanti ai rivenditori di piastrelle, di divani, di serramenti.
Eppure, ogni volta che penso alla mia Casa Immaginaria, mi si apre il cuore.
La sera, prima di addormentarmi, anziché pensare ai coniglietti che saltano le staccionate, penso a quando varcherò la soglia di casa mia e dall’ingresso vedrò il divano e quel meraviglioso tavolo in legno massello che ho puntato da Maison du Monde da circa 2 anni.
Penso al mio letto, al materasso ortopedico con strato in schiuma e molle insacchettate singolarmente, penso al cuscino nuovo in lattice, penso all’armadio a muro bianco e agli stucchi sul soffitto che sarò –sicuramente- riuscita a recuperare e valorizzare.
Penso al pavimento in grès, sì cazzo in grès, e non in parquet perché voglio una casa con lo sbatty al minimo, perché questa casa sarà il mio lascito su questa terra, ai miei figli, ai miei nipoti. E io so che le generazioni future mi ringrazieranno per non averli costretti a togliersi le scarpe all’ingresso.
Penso alle porte e a tutti i preventivi che abbiamo chiesto, alle maniglie e a tutte le aziende di maniglie che abbiamo consultato (ciao Colombo!), penso quanto ci siamo scannati per ogni minima decisione: dai serramenti fino al divano.
In certi giorni mi chiedo se faccio bene a sposarlo. Dopotutto, non siamo ancora arrivati ai sanitari.

Ma visto che non stiamo facendo passi avanti solo in cantiere (sono cominciati i lavori! Sono cominciati i lavori! E’ arrivata la prima fattura! E’ arrivata la prima fattura che ha 5 cifre!): anni di commedie romantiche mi hanno insegnato che “per organizzare un matrimonio bisogna cominciare un anno prima” (dovreste sentire mia madre con quale somma saccenza scandisce questa frase, come se il matrimonio avesse una data di scadenza), sabato 24 ottobre ho indossato per la prima volta un abito da sposa.
Bhè, per essere una che lavora nella moda dovrei essere abituata no?

No.

Sono stata in un atelier abbastanza famoso a Milano, Antonella del Brusco, che ha organizzato una due giorni dedicata alla nuova collezione di Jenny Packham.
Jenny Packham chi? Quella che veste sempre quella gran culo di Kate Middleton agli eventi.
Avevo preso appuntamento insieme ad una mia amica che dovrebbe sposarsi anche lei il prossimo anno (dico dovrebbe perché non ha ancora fissato la data) ma quando sono entrata lei stava parcheggiando quindi l’impatto, quello SBAM di tulle avorio, cristalli, chiffon e seta mi ha rimbambita togliendomi l’uso della parola e mi ha impedito di affrontare l’appuntamento con la giusta razionalità.

Non ero io. Ero Lucia a 7 anni dentro la casa di Barbie Luce di Stelle.

Imbambolata nel mezzo della sala, tra due file di abiti appesi, in mezzo a vetrinette di tiare e velette.
La venditrice mi ha raccolto prima che andassi in sbattimento (“oddio, ma sta succedendo veramente?”) e mi ha fatto sedere per compilare “la scheda”.
Dopo aver comunicato data e location, la venditrice ha scelto in maniera veloce 5/6 abiti da farmi provare, ovviamente uno più bello dell’altro.
Nel frattempo la mia amica era arrivata ma, cosa che trovo assurda, non è potuta rimanere con me nel camerino (una stanza grande quanto una camera da letto), perché non dovevo essere influenzata.
Nemmeno stessi votando per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Il primo abito che ho provato è un abito che ha indossato Kate Middleton e che speravo mi cadesse come a lei.
AHAHAHAHAH!

NO.

Ma la cosa più strana e di cui non mi ero mai accorta nelle 2.683 puntante di Say Yes to The Dress che ho visto, è che quando provi un abito da sposa non sei mai sola.
Non dico al momento in cui lo indossi (è necessario qualcuno che ti aiuti), ma subito dopo, quando ti stai guardando allo specchio e ti rendi conto che STA SUCCEDENDO.
Quando mi provo un paio di pantaloni di Zara ho bisogno dei miei 10 minuti per guardarmi da davanti, da dietro, ho bisogno di fare la sfilata in punta di calzini fino allo specchio esterno, ho bisogno di fare le foto e mandarle a qualcuno, ho bisogno di farmi le foto e non mandarle a nessuno, oppure farmi una foto con la luce giusta e postarla.
Invece con un abito da sposa no, ti costa le migliaia di euro eppure non è consentito nemmeno concedersi 5 minuti con l’abito addosso per sentirti donna mentre ti guardi meravigliata come una bimba.
Mi sono ritrovata lì, mezza nuda e con la testa in un cappuccio di tulle, davanti ad una signora e la sua assistente che mi infilavano e sfilavano gli abiti, raccomandandomi anche di non muovermi e non camminare perché le scarpe che mi avevano dato avevano le pietre davanti e avrebbero rovinato gli orli.
Quindi ho provato degli abiti che avevano dello strascico ma senza nemmeno la possibilità di fare 5 passi, talvolta nemmeno 3 e verso lo specchio.
Mentre la mia amica continuava a fare su e giù dai divanetti dell’ingresso, io mi stavo sbirciando per la prima volta con un abito da sposa addosso.
Forse, il fatto che il primo non mi cadesse bene mi ha riportato un po’ sulla terra.
A parte la velocità con cui mi è sembrato sia stato gestito l’appuntamento, non ho nulla da dire sul servizio dell’atelier che, per altro, mi ha pure concesso queste foto che la loro fotografa stava scattando per pubblicizzare successivamente l’evento. Era una giornata speciale e dedicata completamente a Jenny Packham quindi forse in un sabato normale le cose sarebbero andate con più calma. Oppure forse, essendo per me la prima volta, mi è sembrato tutto un grandissimo ciclone durato un’ora, dal quale sono uscita ubriaca!
Quindi, sono lì, davanti allo specchio e finalmente trovo un abito che effettivamente mi piace e che trovo pure adatto al genere di matrimonio che ho in mente.




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