mercoledì 4 ottobre 2017

Wanderlust 108 Milano: il triathlon della mindfulness

Come avrete visto sulle mie Stories di Instagram, lo scorso weekend mi sono data ad un’Olimpiade personale partecipando dapprima all’evento Wanderlust e poi nel pomeriggio alla sessione di Barry’s Bootcamp all’Arena Civica (e dopo tutto questo anche la missione settimanale all’Esselunga il cui sforzo non è da sottovalutare per niente).
I Festival Wanderlust 108 (1 =  Unity  0 = Wholeness  8 = Infinite Love) sono dei triathlon della consapevolezza. Lo so, lo sento da là in fondo quel “DELLA CHE?” ma non riesco a trovare altre parole per definire cosa sono questi ritrovi che vengono organizzati in diverse città del mondo e coinvolgono contemporaneamente sport e benessere mentale.
Per non sapere né leggere né scrivere io l’avevo chiamata “mindfulness” ed è quella speciale attenzione che, se allenata, aiuta a riequilibrarti, a spostare l’attenzione sul presente, sulle proprie sensazioni e sul “qui e ora”. E’ un azione e in quanto tale va esercitata: dopotutto cosa c’è di più difficile che concentrarsi sul proprio io e sul fluire dei pensieri senza esserne toccati (spoiler: questa cosa della meditazione l’ho provata davvero).
Insomma il Triathlon (che richiama alla mente corpi scultorei che si tolgono mute e inforcano sensualmente delle bicilette prima di lanciarsi a correre su una strada vestiti solo di un pantaloncino) che mi ha coinvolta questo weekend era molto molto diverso (purtroppo? Per fortuna? Chi può dirlo). Come si vede sul sito di Wanderlust nei loro festival si prevede sempre una 5 km di corsa o camminata, una sessione di yoga flow all’aperto (con dj set e performance dal viso) e mezzora di meditazione.

All’urlo di “COSA SONO IO? INVINCIBILE!” domenica mattina mi sono scaraventata giù dal letto alle 7.30 per essere presente fisicamente (mentalmente forse non ancora del tutto) sulla linea di partenza ai giardini del Politecnico di Milano. Non corro continuativamente da un bel po’, lontani sono i tempi dei Cityrunners e delle 12 km alla domenica mattina, ma ammetto che una 5 km a ritmo libero non mi spaventava più di tanto.
L’atmosfera davanti al Politecnico era quella di un after: musica da chill-out alle 8 di mattina, quasi surreale per la zona (il Politecnico è immerso in un quartiere normalmente residenziale nella zona est di Milano).
Nemmeno il tempo di lasciare le borse che io e Diego ci siamo lanciati in una personalissima gara uno contro l’altra nella quale ha vinto  –incredibilmente- lui, battendomi sul traguardo per qualche decina di metri.

Sono primo, YEY!

Nella breve (brevissima, il mio monitoraggio dice che abbiamo fatto 4 km a malapena) distanza sono riuscita anche a mantenere un ritmo decente (5.30-5.40/km) e senza patire poi così tanto il freddo, tant’è che ho sfidato il dio dell’autunno e ho corso in canotta come una povera scema.
Ma poco male, nel mio essere “invincibile” eravamo in piena botta di endorfine da runner e OGGI NE STO PAGANDO LE CONSEGUENZE IN FARMACIA.
Al termine della corsa dopo l’invana ricerca di qualcosa da bere, ci siamo messi pazientemente sotto il palco ad attendere l’inizio della sessione di yoga, cominciata dopo un’oretta circa nella quale mi sono assicurata di prendermi almeno un grosso raffreddore come premio per la giornata di mindulfness reppiratorio.
Eravamo schierati sotto il palco con i nostri tappetini, uomini donne e celebrità (ok, ero proprio dietro a Francesca Senette che, fatevelo dire, è snodata come il cavo degli auricolari dell’iPhone e voi sapete quanto quelle diavolerie si attorciglino su loro stessi).

Un pacifico Diego mentre riflette sul fatto che solo "qualche" anno fa era al Politecnico a fare esami mentre ora sta per mettersi nella posizione del guerriero


L’anno scorso, dopo tanto vagare avevo trovato uno studio in cui ho praticato yoga dinamico per un mesetto e mezzo ma che ho abbandonato a causa degli orari impossibili (18.45 essere già cambiati e seduti su un tappetino solo se yoga lo fanno in sala riunioni) e del fatto che in una classe che ammette una quarantina di persone al massimo, io ero sempre la quarantesima e mi ritrovavo puntualmente dietro la colonna a fare la posizione del cobra.
Questo per dire che proprio a digiuno dell’argomento non lo ero l’altra mattina (mai quanto il povero Diego che si è comunque cimentato impavido) e devo dire che ho apprezzato notevolmente gli effetti sull’allungamento che produce un’ora abbondante di djkuijwefvhjnksana.

Namasté

Tuttavia, devo togliermi un sassolino dalla scarpa che riguarda lo yoga: per quanto si dica che sia una pratica aperta a tutti, rimane sempre questo ostacolo all’entrata che riguarda il linguaggio. Ho fatto lezioni per principianti così come multilivello (questioni di orari) ma l’atteggiamento era lo stesso: ora mettiamoci in poqjrpmdhitrnsana, ora passiamo in asfsfskjknfsuana, ora 5 respiri in futghaovjqujnfsana.
Sembra di salire in barca a vela e attendere le istruzioni dello skipper che, notoriamente, parla una lingua tutta sua fatta di termini conosciuti solamente a chi quella materia l’ha studiata.
Con lo yoga ci si sente nello stesso modo, con la differenza che mentre osservi l’insegnante in bilico sugli alluci con i gomiti incastrati tra le ginocchia, devi concentrarti sul nome I N C O M P R E N S I B I L E delle posizioni, cercare di memorizzarle e provare a replicarle con la stessa agilità di una partita a Twister nel salotto di casa.
Ma domenica le cose sono andate bene perché per fortuna ero sotto al palco e affianco a me c’era una pro che sapeva tutte le posizioni e infatti, nonostante il freddo, la pratica è stata piacevole ed efficace (i miei muscoli stanno molto bene, contrariamente a quanto si potrebbe pensare dopo aver fatto mille e mille plank).



Come vedete sono presa benissimo

Dopo l’ora di Yoga è stato il momento della meditazione: la parte di questo triathlon sulla quale ero maggiormente scettica.
Scettica non nel senso che non ci credo: io ci credo. Che poi a cosa, non è una religione. E’ una pratica.


So che meditare fa bene, so che dovremmo tutti meditare perché è una pratica estremamente curativa del proprio essere. Eppure nonostante io sia una persona molto riflessiva, l’idea stessa di iniziare mi ha sempre lasciata un po’… come dire, titubante?
Cosa devo fare quando medito? A cosa devo pensare? Cosa vuol dire che devo svuotare la mente? Svuotare nel senso che devo pensare a me che pulisco una stanza? 
Ecco un frame di quello che è passato per la mia mente mentre “cercavo” di meditare:
Bene, devo liberare la mente. Come libero la mente, mi immagino mentre faccio le pulizie e metto tutto nelle scatole e metto via. Ah, ecco cosa devo fare! Il cambio di stagione delle scarpe! Che sbatty! Devo mettere l’antitarme nelle scatole dei vestiti. Ah, cavolo c’è quella pianta morta da buttare via. E le piante sul balcone? Ma devo ancora bagnarle? Ma d’inverno bevono le piante? Ah devo spostare il ciclamino nell’altra finestra. Almeno lui ha rifiorito. Cazzo, la lavatrice. Devo cambiare gli asciugamani. Ma questa settimana? Cos’è che devo fare? Ah si, il prossimo weekend vado a casa. La mamma. Oddio, speriamo di non litigare. Capelli, ricrescita, era ora c’ho una fascia che sembro una barbona trasandata, che odio. A casa cos’è che devo portare, ah sì. Il giubbotto verde che ha le maniche consumate, vediamo cosa può fare la mamma. Poi devo andare al Tulipano che gli shampoo Botanicals qua non si trovano. Cazzo! Devo prenotare le sopracciglia dalle russe! Ma quando ci vado, ogni sera è buona per andare a CrossFit. Forse domani, ma devo passare a comprare la busta per spedire la cintura che ho venduto su Depop. Poi devo andare in posta in pausa pranzo, ma quand’è che devo andare a fare la luce pulsata? Ah sì, giovedì mi pare, all’una.

Insomma il flusso di pensieri è tale e talmente denso che è difficile cercare di non farsi coinvolgere e non so dire se ci sono riuscita per qualche secondo. Mi piacerebbe che un insegnante dentro la mia testa mi dica in quali passaggi stavo effettivamente meditando e in quali stavo solamente morendo di freddo mentre pensavo alla lista delle cose da fare.



Ma forse credo che la difficoltà alla base di queste discipline olistiche sia proprio nel fatto che sono concentrate sul proprio IO: non esiste qualcuno che può dirti esattamente come e cosa pensare per riuscire a meditare dicendoti “sposta un braccio di qua” “raddrizza la schiena di là” e pensa al colore bianco come fa un personal trainer per insegnarti gli affondi. Mi sembra che sia una meta e la via per arrivarci è diversa tanti quanti sono gli esseri umani su questa terra.

Ad ogni modo finita la mezzora di meditazione io sono corsa a casa per mangiare un boccone prima di lanciarmi nella seconda parte della mia olimpiade personale ma le attività al Wanderlust sono proseguite: ci sono state minisessioni di acroyoga, di antigravity, di yoga per runners etc. Un’ottima occasione per provare attività nuove!
Infine, se state cercando (perché lo so che li state cercando) i prodotti Adidas creati in occasione dell'evento Wanderlust, li trovate a questo link.
Questo AcroYoga devo provarlo prima o poi

E anche l'Antigravity è in wishlist per il prossimo futuro!

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