giovedì 20 dicembre 2018

Il mio qua-trio Inglesina Aptica

Ricordo ancora quando a maggio lanciai un sondaggino su Instagram chiedendo consigli su che passeggino fosse più consigliato per me acquistare. Mi servirono almeno 24 ore per smaltire tutti i messaggi. Capii immediatamente che, come per la gravidanza, su pannolini e passeggini tutti hanno un’opinione, un po’ come la nazionale di calcio!
Tuttavia questo è inevitabile: pure io che ho solo 8 settimane sulle spalle sento di poterne parlare ora come una veterana. Innanzitutto, errore da dilettante: non si dice passeggino. Si dice TRIO. 

Nella mia ignoranza pre-parto passeggino/carrozzina erano la stessa cosa, ora invece so bene che si tratta di mezzi diversi. 

Ma andiamo con ordine: le opzioni sul mercato sono miliardi e dopo mesi in cui ho letteralmente (lo giuro) seguito per strada le mamme e le coppie con i passeggini più interessanti ho stilato la lista degli elementi che per me sarebbero stati imprescindibili (facile da manovrare e da aprire/chiudere, sicuro, solido e ovviamente carino). E’ vero, il “trio” è uno di quegli acquisti che si è costretti a fare prima della nascita, quando ancora non sai a che santo votarti, sei lucida dalle tue 7 ore di sonno e non immagini quante cose imparerai a tenere contemporaneamente in mano. Però serve immediatamente e per “immediatamente” intendo proprio che non puoi schiodarti dall’ospedale senza l’ovetto. E una volta a casa non hai idea di dove appoggiarlo se non hai almeno la navicella.
Da 2 mesi stiamo quindi usando il sistema quattro Aptica dell’Inglesina: si chiama sistema Quattro perché oltre al triplete classico (passeggino, navicella, ovetto) dispone anche di un supporto per poter utilizzare in casa la navicella (o l’ovetto) come culla separandola dal telaio. 
Il supporto base è la salvezza per i genitori che vogliono evitare la cosiddetta “Mossa del Ninja”: quella mossa P E R I C O L O S I S S I M A per la quale si tenta (invano) di trasferire il neonato, tanto faticosamente addormentato durante la passeggiata, dalla carrozzina (o dal seggiolino auto) alla culla in casa. Il supporto funge da salvatore perché anziché prelevare il bambino con il rischio di innescare la sirena, si attacca direttamente la seduta al supporto senza minimamente turbare il sonno al piccolo erede. 
Dovete capirmi, io non ho mai preso in mano una carrozzina in vita mia prima del 22 ottobre, giorno delle dimissioni dall’ospedale. Non siamo nemmeno andati nei negozi a provarne altri o a “farci un’idea” e la mia ricerca, come per ogni cosa, si è limitata alla vastità delle opinioni online. Le istruzioni sono servite per montare i vari pezzi ma il resto, da bravi millennials, è stato imparato direttamente sulla strada. 
In ordine cronologico, l’ovetto è stato il primo ad essere testato dalla nuova famiglia e vi spiego in che scenario c’è stato il “battesimo”: dopo 6 giorni in ospedale finalmente ci danno l’ok per le dimissioni, Fagiolino ha concluso la fototerapia e sta bene, io sono ancora dolorante ma piena di adrenalina all’idea di andare a casa e Diego… bhé, dopo 6 giorni in cui io e il piccolo eravamo nella sicure mani dell’ospedale, adesso doveva prendersi cura di noi. Sarà la tensione, sarà la paura di romperlo (Leonardo, non l’ovetto), ma credetemi: quella prima e necessaria operazione ci ha portato via quasi un’ora. Quando siamo riusciti a sentire finalmente il “click” di chiusura delle cinture di sicurezza eravamo SUDATI.“Oddio ma è così complicato?” No, non lo è e infatti adesso lo facciamo in continuazione, in pochi secondi e sempre durante una crisi di pianto. Però in quel momento, allacciare Fagiolino alla seduta dell’ovetto, assicurarsi che fosse in posizione corretta e al riparo da urti è stata la prima operazione da genitori che abbiamo fatto. La prima. Eravamo tesi come corde di violino, sembravamo sui carboni ardenti, con la fretta di lasciare la camera e (almeno per me) respirare un po’ di aria fresca dopo quei giorni così pieni e concitati. 
La sottoscritta nervosissima (“Io in 9 mesi ho fatto un essere umano, tu POTEVI LEGGERE LE ISTRUZIONI ALMENO”) e Diego nel panico che cercava un tutorial su You Tube. 
Adesso che sia io che Diego ci siamo calmati, è il supporto che utilizziamo più di frequente: un po’ perché è il più immediato e pratico (dovendosi spostare in auto è indispensabile), un po’ perché essendo il primo con il quale abbiamo familiarizzato è quello con cui abbiamo più dimestichezza.


La nostra prima passeggiata in 3 con un Leonardo evidentemente perplesso


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martedì 11 settembre 2018

Allenarsi in gravidanza, sì ma come? Boh!

Giunta ormai quasi al termine della gravidanza, ci sono molte cose sulle quali mi sono fatta un’opinione precisa e una di queste è la questione dell’allenamento in gravidanza.
In questi mesi è stato uno degli argomenti più frustranti per me che, pur non essendo di certo un atleta fitness d’elite di chissà quale livello, negli ultimi anni ho maturato una certa passione per lo sport.
E’ inevitabile che uno dei primi quesiti che mi sono posta quando ho scoperto di essere incinta sia stato “ok adesso come mi alleno?”. Ho scoperto, direi immediatamente, che le scuole di pensiero sono svariate.  Una donna, al momento della (prima) gravidanza, ha le idee piuttosto confuse e l’unico faro di conoscenza non è alfemminile.com (come spesso accade) ma il ginecologo. Tuttavia, con tutto il rispetto per la professione medica (e ne ho moltissimo), ho notato che è difficile trovare due medici concordi sulla stessa cosa. Relativamente all’esercizio durante la gravidanza ci sono svariate scuole di pensiero: influenzate dalla cultura, dallo storico personale e dalle conoscenze maturate sul campo dello stesso medico.
Tendenzialmente nessuno, in una gravidanza fisiologica (cioè senza patologie e rischi), sconsiglia di sana pianta l’esercizio fisico….MA!
Ma ognuno applica dei vincoli tutti personali, ecco qualche esempio:
- non correre/corri fino alla fine del I trimestre/corri semmai a partire dal II trimestre/sei hai sempre corso, continua a correre senza arrivare alla soglia di max sforzo
- non saltare/salta fino a che il pancione te lo consente
- non alzare pesi/ok i pesi ma attenzione al pavimento pelvico
- niente bici/bici ok
- non squat/ok squat
- hydrospinning sì/hydrospinning no 
- fit ball sì/fit ball no
e così via.
Insomma una donna che si trova con la voglia di fare, non sa più cosa fare perché sente tutto e il contrario di tutto e seppur con tutta la forza di volontà (che, come sapete, diminuisce con il passare dei mesi) si ritrova spaesata e alla fine, forse, non fa niente.
Un aspetto che ho trovato sottovalutato nella gestione della gravidanza dal punto di vista medico è l’emotività della donna attiva che d’un tratto si trova costretta a non poter fare più nulla perché senza una linea guida specifica. Parlo per me ma anche a nome di altre donne con cui ho avuto modo di interfacciarmi con più o meno lo stesso mio livello di allenamento.
Prendete me: praticavo training funzionale 3 volte a settimana e saltuariamente aggiungevo una seduta di hydrobike da Waterbeat o una sessione da Barry’s Bootcamp.
Passare da un regime settimanale di 3-4 sedute di fitness intenso a zero ha provocato uno scompenso emotivo considerevole. Altolà: non dico che non si possa fare nulla ma che per una persona abituata ad un determinato livello di fitness, ritrovarsi a fare le passeggiate o l’hatha yoga corrisponde letteralmente al N U L L A. 

Nella mia esperienza ho capito che l’attività fisica gioca un ruolo importante se non fondamentale nel benessere psico-fisico e non parlo limitatamente alla leva del mantenimento o della perdita di peso. Chi pratica regolarmente sport (qualsiasi sport: che siano i corsi in palestra, judo, tennis, volley, spinning, boxe, beach volley, danza etc) magari ha cominciato perché voleva appunto recuperare un certo livello di forma fisica e perdere peso o massa grassa ma presto si sarà reso conto che la costanza nell’attività porta benefici ben maggiori dell’esclusiva perdita di peso: si tratta di migliorare qualitativamente la propria vita perché si mangia meglio, si digerisce meglio (sì, parlo anche dell’intestino), si dorme meglio, si respira meglio, ci si muove senza affanno e con maggiore agilità. Tutto questo contribuisce a mantenersi più equilibrati dal punto di vista psicologico ed emotivo e, in una parola, più felici.
Gli ormoni sono delle potenti “DROGHE” prodotte dal nostro corpo e non è un caso che praticando attività fisica si stimoli la produzione di endorfine, gli ormoni del benessere (che combattono invece il cortisolo, il maledetto ormone dello stress).
Una donna in gravidanza è un fottuto cocktail di ormoni: tutti di fondamentale importanza alla crescita e allo sviluppo del bambino. Il bello è che uno dice “ormoni” ma spesso nemmeno sa di cosa sta parlando (e io sono sicuramente tra queste persone) ma mi permetto di dare la mia esperienza provata sul campo. Gli ormoni -della gravidanza- sono potentissimi e senza che tu nemmeno te ne accorga puoi essere la donna più sicura del mondo in un momento e trovarti sull’orlo di un attacco di panico poco dopo. Puoi raggiungere picchi di felicità che pensavi inimmaginabile e subito dopo sprofondare nell’abisso profondo della disperazione. Oppure puoi ritrovarti a piangere di continuo perché sopraffatta dagli eventi senza riuscire a fare nulla per riprenderti razionalmente. 

Nei primi 4 mesi di gravidanza mi ha seguito un medico ginecologo super simpa che pratica yoga da anni. Nel I trimestre mi ha consigliato di praticare yoga ovviamente e io, come ho già raccontato, ho avuto il mio bel daffare a trovare un centro che mi facesse fare qualcosa in quei benedetti primi 3 mesi. Dal II trimestre in poi sono stata seguita da una dottoressa fenomenale che però, se da una parte non ha ostacolato il mio desiderio di sport, dall’altra ha posto anche numerosi paletti (che ad una certa ho deciso, a mio rischio e pericolo, di ignorare).
Eppure, se solo si scavalla l’oceano e si va a New York le cose sembrano piuttosto diverse. Ce la ricordiamo tutte Charlotte che corre per Central Park pur sapendo di essere incinta e voglio vedere a quante donne in Italia il ginecologo ha dato l’OK per praticare running. Forse solo i medici sportivi alle atlete e perché loro sono -giustamente- seguite con una cura diversa rispetto a quella di noi donne non-atlete. 

Alysia Montano, a 34 settimane, che corre una 800m 

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lunedì 3 settembre 2018

Il terzo trimestre tra lacrime e fastidi

Giunta alla 31esima settimana, sono entrata in pieno diritto nel III trimestre: il trimestre della consapevolezza, il trimestre della visualizzazione, il Trimestre dei Trimestri.
Innanzitutto fatemi dire che contare la gravidanza in settimane o in mesi è un maledetto labirinto: da che mondo è mondo la gestazione dovrebbe durare 9 mesi, no? Eppure non appena rimani incinta il mondo medico si rivolge a te contando le settimane. Una pensa che sia cosa semplice, pure per un cervellino lento con i conticini come il mio, 9 mesi * 4 settimane = 36 settimane massime. Invece no, la gravidanza dura 40 settimane. Quindi, spetta un attimo, ma conti alla mano allora sono DIECI MESI!1!!
Sono dieci mesi raga, DIECI! CI HANNO SEMPRE FREGATO!

Sembro un serpente che ha inghiottito la preda

Quindi, ricapitolando, io che sono alla 31esima settimana ma mancano 2 mesi alla data del parto sono all’ottavo mese o sono al settimo? Tutto questo per dire che uno dei piaceri del III trimestre è la cosiddetta domanda di maternità flessibile da presentare all’INPS: chi come me non fa lavori che mettono in pericolo il bambino (cioè non devo stare troppe ore in piedi o avere a che fare con sostanze chimiche etc) può richiedere allo Stato di gestire i 5 mesi di maternità obbligatoria (solitamente divisi tra 2 prima del parto e 3 dopo), lavorando per tutto l’ottavo mese e usufruendo di 1 mese di congedo prima e 4 mesi dopo la nascita.
Io l’ho presentata qualche settimana fa e la cosa mi è costata sudore e fatica (come ogni cosa in questo periodo del resto) ma anche perché nel mio caso cadeva nel mezzo di agosto, con le chiusure degli uffici e i medici del lavoro in vacanza.
Ad ogni modo il mio moto di protesta va a all’INPS che calcola la maternità partendo dalla data di presunto parto e procedendo a ritroso in mesi mentre invece il resto del mondo medico calcola la gestazione in settimane partendo dalla data dell’ultimo ciclo. Tra un calcolo e l’altro ballano 4 settimane, esattamente quelle che mancano.
Ma polemichina sterile a parte eccoci a parlare del fantomatico ultimo trimestre da non mamma.
La prima cosa che mi sento di evidenziare è un fil rouge che per alcune prende tutta la gravidanza fin dal I trimestre: LA STANCHEZZA.
Sarà che la mia gravidanza è caduta proprio nel mezzo dell’estate, la stanchezza ha cominciato a diventare fedele compagna di vita a partire già dal 6° mese (giugno-luglio) e come avrete avuto modo di notare, abbiamo avuto un’estate “classica” con caldo afoso fin da giugno senza mai mai mai mollare fino a ferragosto. Amica Stanchezza ama manifestarsi in qualsiasi momento della giornata, spesso di mattina ma talvolta anche nel primo pomeriggio. Il sonno non è mai sufficiente anche perché spesso intervallato da risvegli notturni preparatori ai mesi a venire e visite al bagno per fare due insopportabili goccine di pipì.
Amica Stanchezza fa spesso coppia con Amica Spossatezza: se non è una, è l’altra.
Un giorno è vero e proprio sonno: sbadiglioni e lacrimoni fino alle 7 di sera. Un altro invece è proprio una sensazione di soffocamento spesso accentuata dal caldo che toglie il respiro.
Purtroppo va così: il corpo sta facendo gli straordinari, lavora di giorno e di notte alla produzione di un piccolo ma meraviglioso nuovo essere umano e questo richiede un lavorìo costante di tutta la fabbrica. Nel mio corpo tutti stanno facendo i doppi turni, non si dorme mai, la delivery del progetto è vicina e le aspettative sono altissime.


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mercoledì 4 luglio 2018

La gravidanza non è una passeggiata e chi dice il contrario mente

Se il post del primo trimestre l’ho scritto abbastanza tranquillamente durante quei primi tre mesi, il post sul II trimestre è qualcosa che ho cominciato quasi immediatamente al 4 mese, piena di furia rabbiosa da “ah ma quindi la gravidanza è così?” e poi ho mollato e ripreso più volte tra il 4° e il 5° mese nella speranza che ad un certo punto il mio stato d’animo cambiasse (spoiler: NO).
Ora che sono entrata nel 6° direi che ho aspettato a sufficienza prima di poter dire a pieni polmoni e a gran voce: AVETE SEMPRE MENTITO TUTTE!

Il I trimestre lo possiamo definire il trimestre della sorpresa: la notizia è ancora limitata a pochi intimi, non lo sa nessuno e se sei fortunata non hai nemmeno troppi disturbi.
Il II trimestre è quello della consapevolezza: la notizia ormai viene comunicata ai nonni, agli amici, ai colleghi, al datore di lavoro, a Instagram! Per le super magre la pancia comincia a vedersi a trimestre inoltrato, per chi da sempre come me vive sul filo del rasoio la pancia si vede quasi immediatamente.
I vestiti non fittano più e molto dipende anche da come è andato il I trimestre: se, come me, tutte le verdurine che prima si mangiavano a profusione hanno cominciato a dare la nausea e si comincia a bramare solo carboidrati, carboidrati, carboidrati soprattutto salati, salati, salatissimi (focaccia pomodoro e capperi, olive, cetriolini, pasta con il tonno, vitello tonnato etc) è anche facile capire come mai i vestiti di prima non fittino più già all’inizio del 4° mese.

Nel mio caso posso dire che questo trimestre si sta rivelando più difficile di quanto immaginassi.
Un piccolo elenco puntato delle gioie di questo periodo:
-          Il pregnancy glow è una bufala
-          Il mal di schiena
-          Le tette grosse e la pancia
-          I vestiti
-          La pancia dura
-          L’ipensensibilità e l’umore
-          La pressione

La bufala del Pregnancy Glow
Dal punto di vista fisico uno degli aspetti peggiori di questo momento di cui non manco di parlarne su Instagram è la dermatite (atopica) che è peggiorata parecchio rispetto al suo solito decorso estivo (d’estate non dovevo nemmeno più preoccuparmene) e ha cominciato a invadere zone sempre più fastidiose del corpo: le palpebre, il contorno occhi, le guance, le mani, le braccia, il collo. Il caldo di certo non aiuta nessuno, figuratevi me che ho una temperatura corporea più alta rispetto agli altri e sudo pure di più.
Di notte ho l’aria condizionata accesa da maggio e in ufficio mantengo una temperatura polare (tipicamente maschile) per la quale sto facendo ammalare di broncopolmonite quelle due povere cristiane che lavorano con me.
Nonostante la visita dalla dermatologa che altro non mi ha detto che “ci sono certe donne a cui in gravidanza la dermatite migliora e ad altre no” (e sti cazzi non ce lo metti?), gli 80€ di prodotti da lei consigliati non mi hanno portato alcun sollievo. Mi sveglio di notte per grattarmi, sento le mani pulsare dal calore, non posso toccare quasi niente perché la pelle si secca così tanto da aprirsi in micro taglietti, passo il tempo a grattarmi il viso e con disperazione e vergogna (ma perché poi?) mi ritrovo ad usare la crema cortisonica perché arrivo a momenti in cui sono talmente scoraggiata dal prurito che non so dove sbattere la testa. Purtroppo sono anche arrivata al punto che la crema delle emergenze non funziona più e rassegnata sto percorrendo la miriade di alternative e suggerimenti che mi stanno arrivando.
La cosa super fun della gravidanza è che questo genere di problemini sono comuni ma, almeno io, mi ritrovo in questa palude decisionale:
-     La dermatite migliora con il sole --> al caldo soffoco e dovrei evitare i raggi del sole per non incorrere nel  melasma gravidico (le macchie sul viso) --> Il calore dilata i vasi MA ho le varici e i capillari esplosi come miniciccioli nella gamba QUINDI dovrei stare al fresco
-    Vai in piscina a fare nuoto che annulli la forza di gravità e non senti il peso della pancia --> le ossa del bacino sono storte, ho fatto due bracciate a rana e ho sentito solo saette di dolore alla schiena in più il cloro peggiora le zone colpite da dermatite
-     Non ti truccare che meglio non avere nulla sul viso --> Già una è grossa e con le gambe gonfie (e cammina storta), in più grazie alle chiazze in viso non puoi nemmeno truccarti non ti dico la gioia di vivere di guardarti allo specchio

Le poche volte che ho goduto del sole al lago ho usato la protezione 50 sia sul viso che sul corpo ma su quali prodotti usare (e se usarli) i consigli (che ricevo da Instagram) si sprecano: tutti hanno una cremina omeopatica o una cremina per pelli ipersensibili che ha loro migliorato lievemente l’esistenza eppure a me sembrano tutte uguali e mi azzardo a comprarne poche perché tanto sono così scoraggiata che sembrano tutti soldi (e costano mica poco) sprecati.
Per ora quello che ho provato sulla mia pelle sono: crema toleriane La Roche Posay, Dermamid Pasta, Cetamol fluido e detergente. Risultati? Zero.
Al momento dopo una settimana di Halicar (crema fitoterapica che simula gli effetti del cortisone e ginecologa approved) (della quale mi sento di endorsare l’utilizzo), sto passando ad una serie di prodotti biologici in cui, ci tengo a dirlo, non ho mai creduto particolarmente ma ora che sono presa dalla disperazione proverei anche il piscio dei gatti se solo non rischiassi la toxoplasmosi (DOH!).

Nel mezzo del 4° mese ho cambiato pure ginecologo visto che il mio, per 200€ a visita, giunta alla fine del I trimestre ancora non mi aveva fatto esami del sangue completi, non mi aveva dato uno sguardo alle gambe (soffro di varici e ho già fatto una safenectomia nel 2016), non mi aveva mai misurato la pressione e nemmeno pesata. Per fortuna grazie alla raccomandazione di una collega ho trovato ora una dottoressa mille volte più gentile, disponibile, per la quale ringrazio il cielo ogni volta (e che in più lavora in ospedale, il che aiuta molto nello sbrigare quelle pratiche INPS che le risorse umane richiedono ma che sono una giungla burocratica you know what I mean).
E’ così quindi che abbiamo scoperto all’alba del 5° mese di essere ipotiroidee (daje) cosa per altro abbastanza comune in gravidanza (e figurati se mi mancava).


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martedì 8 maggio 2018

Quindi sono incinta

Esatto care mie, dopo settimane mesi di speculazioni su Instagram e decine di invadenti messaggi (o commenti seminati qua e là) da perfette sconosciute che volevano informarsi sulla popolazione nel mio utero, posso confermarvi che sì, sono incinta. Ora che pubblico questo post sarò intorno al 4° mese, ma l’ho preparato nel corso del I trimestre. Il peggio è passato ma la verità è che non si mai al sicuro (soprattutto per chi temibilmente si avvicina alla soglia dei 35 anni).
L’abbiamo scoperto un weekend di un periodo particolarmente stressante. Al lavoro avevo accettato un nuovo incarico ed ero molto in ansia perché (ciao psy) temevo di non essere all’altezza. Avevo incubi di notte e ogni sorta di disturbo di giorno: mal di stomaco, gengive sanguinanti, crisi di pianto.
Razionalmente era così che mi spiegavo il ritardo fino alla sera quando, al telefono con Diego alle 8 ero ancora in ufficio dopo una brutta discussione con un collega, dicevo “mi servirebbe prendere un test”.
Quel primo giorno, quel weekend, è trascorso poi con le gambe tremanti. Come quando prendi un grosso spavento e poi lo spavento passa e il corpo si deve ripigliare dallo shock.
La prima tentazione è quella di dirlo a tutti. Chiamare mamma, amiche, parenti, facebook, fare l’annuncio su Instagram. E’ bellissimo, sono incinta!
Ma poi no, non sai ancora nulla (questa cosa del non sapere rimarrà una costante lungo tutta la gravidanza, temo) e non vuoi dire nulla perché rimbomba nella testa quel “NON SI SA MAI”.
Dopotutto ok, 34 anni, ma non bevo non fumo e mangio broccoli. Cosa cazzo deve succedere?
Quindi non lo diciamo a nessuno, mantengo il segreto anche con la mamma, difficilissimo.
Prenoto la visita dal ginecologo, ci andiamo insieme. Vorrei entrare urlando “SORPRESA! SONO INCINTA, BELLA LI!” ma mi ritrovo timorosa, spaventata. “E se il test (i test, ne ho fatti 2) fossero sbagliati? E se non ci fosse già più?”.
Questa cosa dell’avere paura al momento della visita (di tutti gli specialisti con cui ho avuto a che fare, il ginecologo non mi ha mai messo particolare timore) mi era (e mi è) completamente nuova.
Passo settimane tranquilla senza le classiche pare della donna incinta (oddio il sushi, l’insalata al ristorante no, il roastbeef no, la fragola l’hai lavata bene?) ma quando si avvicina il momento dell’eco, sono impietrita dal terrore.
E se non c’è più? E se ci siamo tutti sbagliati? E se sono una di quelle che lo perdono nel primo trimestre? Può succedere, è molto frequente, Lucia devi essere pronta a tutto.
Quindi non sono una che all’ecografie piange dall’emozione: niente lacrime al primo battito ma dei gran sospiri di sollievo.
Mi meraviglio del prodigio che sta producendo il mio corpo: era una pallina informe, ora ha già le manine! Era un cosino grande come un paciocchino, adesso è già grande come un limone!
Comincio timidamente a comprare qualche libro, un paio, giusto per capire meglio quello che sta succedendo visto che ALLARME ALLARME andare su internet quando sei incinta è più pericoloso che attraversare la tangenziale con una benda sugli occhi.
Alla seconda visita, il ginecologo mi congeda dicendomi “e non vada su internet, mi raccomando” e seppur l’abbia fatto (“sapore acido in bocca gravidanza” “voglia di cibo salato gravidanza” “salmone affumicato scaduto gravidanza” “salsa tzatziki gravidanza” “dopo quanto si sa il sesso gravidanza” “test genetico gravidanza”) sto cercando di bacchettarmi le mani da sola ed evitare di entrare in paranoie inutili (“si possono mangiare le cozze in gravidanza” “ellittica in gravidanza” e così via...). Per la cronaca, i libri che ho acquistato sono “Cosa aspettarsi quando si aspetta” e “Il Linguaggio segreto dei neonati”.
Per ora sto leggendo il primo e sembra davvero esaustivo (ne hanno tratto anche un film che naturalmente non ha lo stesso approccio analitico all’argomento, ma è più una commedia romantica).
I forum poi sono una specie di pozzo infinito di paranoie dove le mamme si parlano tramite terminologia specifica (“io sono 26+3” “io sono 18+5”) e sono tutte dottoresse in ginecologia e ostetricia e possono consigliarti per il meglio che di solito è “se stavi per fare quella cosa scordatelo subito perché potresti far del male al bambino!1!!!”.
Quindi un piccolo recap per punti di quello che è stato il primo trimestre per me:

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giovedì 18 gennaio 2018

Due incubi is megl che uan: ho provato per voi hydrobike!

Nell’ultimo post sulla motivazione avevo appena detto che tra le attività che odio di più ci sono quelle che si svolgono in piscina e manco avevo finito di cliccare su “pubblica” che mi è arrivato l’invito per provare una lezione di hydrobike.
C’ho pensato su, ho riflettuto sul fatto che sì, se ci sono due cose che ho capito che non mi piacciono sono:
1.       LO SPINNING
2.       LA PISCINA.
Eppure questo non mi ha impedito né di provare Soul Cycle l’anno scorso a New York, né di provare Hydrobike lo scorso sabato.
La scusa me l’ha data Hanane, la ragazza che ha aperto Waterbeat Society in pieno centro a Milano (in via Santa Tecla 3, laddove voi che uscite la sera direste che “una volta c’era il Punks wear Prada”, celeberrima serata milanese organizzata da Natasha Slater). Non potevo esimermi anche perché tra i miei buoni propositi del 2018 c’è l’idea di provare almeno 3 sport nuovi nel corso dell’anno quindi la proposta è caduta proprio a fagiolo!

La formula di Waterbeat Society è quella della fitness boutique: cioè zero sbatty.
Hanane mi ha raccontato che quando lavorava come hostess di volo, aveva sempre poco tempo a disposizione nelle città e non poteva mai sottoscrivere un abbonamento fisso nelle palestre. L’avvento di queste strutture “verticali” dove si fa solo una cosa e bene (come Barry’s Bootcamp, come Barre o Soul Cycle a NY) è la soluzione ideale per chi appunto si ferma poco in città o chi, come me, non vuole sbattimenti. Fitness a portata di mano: come lo street food, come i distributori di sigarette, come i Carrefour 24/7.
Nessun abbonamento obbligatorio, nessuna scocciatura da “hai dimenticato il certificato”, nessun sovrappopolamento degli spogliatoi.
Ancora per poco si prenota tramite telefono o via mail (o Instagram, Hanane è sempre molto sul pezzo) ma presto ci sarà un sito figo quanto la loro sede dal quale sarà possibile consultare gli orari e prenotare la propria bike.
Ci tengo a partire parlando proprio della policy ZERO SBATTY che per me è stata fondamentale:

  • Zero sbatty perché: non mi devo portare l’accappatoio, l’asciugamano lo forniscono loro
  • Zero sbatty perché: non mi devo portare la cuffia perché non c’è obbligo di indossarla (e non ci si bagna i capelli!1!!)
  • Zero sbatty perché: non dove comprare le scarpette da hydrobike perché le forniscono loro
  • Zero sbatty perché: non devo portarmi bagnoschiuma, deodorante, assorbenti o elastici perché trovi tutto nello spogliatoio
  •  Zero sbatty perché: non devo portarmi manco il sacchetto per il costume bagnato perché c’è la macchina ASCIUGACOSTUME!

Qua lasci le scarpe, prendi le scarpine e procedi verso gli spogliatoi con le infradito

Ecco che il core dei motivi che mi hanno sempre portato ad odiare la piscina vengono spazzati via dalla modernità (L’ASCIUGACOSTUME! AVANGUARDIA! MODERNITA’! ODISSEA NELLO SPAZIO!) o dalla scaltrezza (asciugamani e scarpine già pronti, solo da agguantare). 
Non ho più scuse, non avete più scuse.
Non vi ho ancora parlato del corso perché per me, questi ostacoli “operativi” sono sempre stati i micro e macro motivi che mi hanno sempre – e dico sempre- portato a rifiutare anche solo l’idea di mettere piede in piscina.

Ok, adesso che abbiamo smarcato le questioni pratiche, passiamo a quelle sportive.
Com’è HYDROBIKE?

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lunedì 8 gennaio 2018

Dove si trova la motivazione? 6 Consigli per trovarla e non perderla

Cos'è oggi se non il primo -vero- lunedì dell'anno?
E cosa si fa il lunedì? Ci si mette a dieta, ancor di più se è il primo lunedì dopo le feste!
Quale miglior modo di cominciare l’anno se non con i buoni propositi?
Alla fine non sono altro che la solita lista di obiettivi che nove volte su dieci riguardano la perdita di peso. Bhè, come chi si lamenta degli oroscopi ma poi uno sguardo a Paolo Fox glielo riserva sempre, anche io faccio liste di buoni propositi. Dopotutto, sono una che mette su Excel anche l’anima di sua madre, figuriamoci se non compilo un’inutile lista di obiettivi della quale mi dimenticherò non appena aver fatto “salva”.
Ad ogni modo l’ho fatta di nuovo, ho fatto il confronto con quella del 2017 (per puro caso era ancora salvata tra le note del telefono) e, stupita come quando raggiungi il budget di fatturato, mi sono resa conto di aver rispettato tutti i miei buoni propositi del 2017.
Ma non sono qua a parlare dei miei buoni propositi, semmai cerco di buttare giù qualche consiglio per farvi rispettare i vostri. Una delle cose che mi chiedete più spesso è MA COME FAI?
Come fai a mangiare sempre broccoli?
Come fai ad andare sempre in palestra?
Come fai a trovare la motivazione per non “cedere” mai?

Come faccio, come faccio. Mi sa che avete un’immagine un po’ troppo idealizzata.
Partiamo dal fatto che io come tutti sono umana, non vivo di soli broccoli e palestra.
Mangio il frico, se vedo uno strudel impazzisco, amo la pizza più di mio marito e ho pure un pizzaiolo preferito (Vincenzo Capuano. Non scherzo mica eh).
Purché tutto questo non sia la regolarità non ci vedo nulla di male.
Negli ultimi anni ho preso la decisione di cercare di disintossicarmi da certe ossessioni di magrezza inutile (non sono mai stata e mai sarò quell’esile giunco al quale ho sempre ambito)(ma so bene di non avere alcun problema di obesità o sovrappeso) e di cominciare a coltivare un certo tipo di abitudini sane. Un po’ come se fosse un investimento.
Ho cominciato a guardare con senso critico tutte le patologie di mamma e papà che, alla veneranda età di 74 e 84 anni sono ancora qua a raccontarmela ma che avrei piacere fossero (molto) più in salute di come stanno. Fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, ipercolesterolemia), obesità, ernie, artriti, fibromi, glaucoma, fibromialgia… sono solo un poutpourri della storia clinica della mia famiglia.
Sono fermamente convinta che siamo quello che mangiamo e che lo stile di vita influenzi di parecchio la qualità della nostra vita (il sonno, la pelle, la digestione, le difese immunitarie, le emicranie etc).
Con l’età adulta ho maturato dentro di me il desiderio di saperne di più, di investire sulla mia salute e non solo sulla mia apparenza fisica.
La mia vita non è perfetta, non sono sempre figa e certe volte non mi voglio muovere dal divano.
Magari con il fatto che sono poco costante sui social, è probabile che quando parlo, lo faccio a proposito degli stessi argomenti e quindi sembra che viva solo ed esclusivamente in funzione dei broccoli che mangio :-) ma non è così e questo perché non voglio essere tuttologa sui social, non mi interessa esprimere la mia opinione necessariamente su tutto. O meglio, magari pure lo faccio, ma a tavola con mio marito, quando non ho alcun pudore a mostrare la mia ignoranza su questa o quell'altra questione. 

Ho fatto questa premessa per parlare di “motivazione”, perché è tra queste righe che nasce la mia.
Credo in uno stile di vita sano e purtroppo le regole del gioco non le ho scritte io.
Mangiare sano (e su quest’argomento ci sono fior fior di autori più esperti di me) e fare regolare esercizio fisico sono l’assicurazione per una vita salutare.
Tuttavia la motivazione è come i calzini. Ognuno ce l’ha in un cassetto diverso.
C’è chi è sempre stato sportivo e non trova una costrizione il pensiero di trascinarsi in palestra.
C’è chi non ha mai voglia di cucinare e preferisce mangiare alla svelta quello che offre Deliveroo.
C’è chi ha bisogno di essere stimolato, di un’amica o del fidanzato che lo accompagni in palestra.
C’è chi mangia quello che capita senza pensarci troppo.
C’è chi è potenzialmente molto sportivo ma solo a determinati orari, giorni, regole (ehm).
C’è chi è straordinariamente timido e l’idea di affrontare la sala corsi o, peggio, la sala attrezzi sotto gli occhi famelici di uomini di mezz’età, demoralizza.
C’è chi non ha voglia, ma proprio NON. HA. VOGLIA.
C’è chi ha di meglio da fare, la cosiddetta “vita da vivere”.

La cosa che spesso viene confusa e che francamente a me da pure un po’ fastidio è che si consideri “LA PALESTRA” (e consideriamo con questo termine qualsiasi attività sportiva: quindi anche le attività acqua-motorie, la zumba, il crossfit, i vari bootcamp, il pilates, il calcetto con i colleghi, la beach volley, l’hip hop, il tacfit, le arti marziali, Kayla Itsines, Sonia TLev, Ballet Beautiful e tutti gli home workout disponibili su piazza) come un’attività per invasati, per fissati, per maniaci. Di cosa? Della forma fisica, della bellezza, del benessere.
Se vai in palestra, di default diventi un membro di una setta, quella del fitness, giudicata negativamente dall’esterno. E’ vero, esiste l’effetto community (ma esiste applicato a qualsiasi cosa: dai vegani fino ai cross-fitters) e su questo spesso ci lavorano in tanti: si crea un senso di appartenenza, di euforia tra compagni di (s)ventura, si crea uno strano effetto squadra tra completi sconosciuti. E come tutti in gruppi si crea il dualismo: INTERNO/ESTERNO.

sei uno di noi // non sei uno di noi

Mi è capitato (e continuerà a capitarmi) che nel momento in cui mi azzardo a parlare di alimentazione corretta (con chi non vuol sentire) vengo accolta con frecciatine (“ancora broccoli?”), gli occhi alzati al cielo quando dico “dopo la merendina ricca di zuccheri mangia qualche mandorla così riduci il picco glicemico”. Se parli di fitness sembra che tu “non abbia una vita”, sia un “fissato”.
Ho notato che spesso chi si prende la libertà di dire queste cose è una persona scontenta del proprio stato fisico (che per me non si limita alla questione “peso forma” ma è concetto più vasto fatto di qualità del sonno, di digestione, metabolizzazione dello stress etc) e che la natura del fastidio, del rodimento di culo che provoca la visione di chi parla di lenticchie, broccoli e cross-fit è data più dal senso di colpa di chi sa che non sta facendo piuttosto che dalla pedanteria di chi sta facendo e condividendo uno stile di vita diverso.
Le palestre vengono viste come chiese del fitness, dove ci va solamente chi è già super fit, allenato e muscoloso. Si crea una sorta di timore reverenziale, soprattutto per chi vorrebbe intraprendere un percorso di lungo periodo di perdita di peso (e cambio vita).
  
Vi dico il mio punto di vista: la palestra non è niente di tutto questo. La palestra è un luogo. Basta.
Non ci sono sette segrete, ci sono gli uomini che ti guardano il culo (francamente io non me ne sono mai accorta ma non voglio sfatare questo mito del macho in palestra) ma ci sono anche per strada e non per questo smetto di camminare sui marciapiedi per andare a prendere il tram.

Bisogna fregarsene.

In palestra, soprattutto chi comincia, nessuno ti giudica. Tutti hanno cominciato da zero, tutti. Anche quello che adesso ulula alzando un bilanciere da 120 kg.
In palestra io ci vado per stare bene. Ho sperimentato diverse attività negli anni (corsa, piscina, corsi coreografati, TRX, funzionale, cross-fit, pilates, yoga, danza etc) e l’effetto delle endorfine a fine allenamento mi piace da morire. Ma ho provato anche a non fare nulla. E semplicemente non mi sono sentita bene, il beneficio che ne traevo non era maggiore. Sono a casa una/due ore prima ma non mi sento produttiva, mi viene fame prima. Mi annoio e mi lancio a mangiare schifezze. Ho la sensazione di non aver staccato. In più sento “caldo alla testa” (non so come altro descriverlo). Se evito di fare attività fisica per lungo tempo mi viene il fiatone se faccio le scale. Ho mal di schiena (alla zona lombare) e peggiorano le emicranie.
Quindi cosa faccio? Combatto contro la mia stessa pigrizia e con l’idea di trascinarmi in palestra quando non ne ho voglia (in inverno: fa troppo freddo però ehy, che bello cambiare aria rispetto all’ufficio; in estate: eh ma che caldo ma guarda che bella luce ci starebbe una passeggiata sui Navigli però ehy, ma quando esco c’è ancora luce e si potrebbe andare a mangiare fuori).
Purtroppo la mia mente lavora ancora a compartimenti stagni (un altro degli innumerevoli pregi della Vergine) e quindi non appena qualcosa modifica la mia routine (es. sono in vacanza o sono dai miei genitori) tendo a mandare tutto in vacca. Sono in vacanza in montagna? MASSì FAMMI AZZANNARE QUEL SALAME!
E se da una parte mi dico “oh ma ci sta anche” dall’altra poi torno e faccio i conti con il senso di colpa. E poi, la svolta: ma raga, il senso di colpa di cosa? Per aver mangiato il frico? Ma non scherziamo, che è il prossimo in lista per essere nominato dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità!
Non mi sono allenata per due settimane, ecco su questo sento che dovrei un po’ migliorare, mi piacerebbe essere più costante. Però dai, siamo al 8 di gennaio e ho già ricominciato palestra e nessuno è mai morto per aver sospeso l’attività per due settimane!
Ecco in cosa –penso- di essere cambiata. Niente è irrecuperabile. Al ristorante ho provato a fare scelte meno “golose a tutti i costi”: zuppa di legumi e cereali? BONA! Cjarsons? Presi! Strudel? Meglio del panettone! Purtroppo l’offerta di verdure era piuttosto scarsa (spinaci, verze e queste altre cose cotte che non amo) ma si può sempre contare su un piatto d’insalata per fornire un po’ di fibre.
Ma visto che le liste vanno tanto quest’anno (cit.), ho preparato quindi un piccolo vademecum di consiglii che ho maturato nella mia personalissima esperienza:



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