Ed
ecco l'ultima (giuro) puntata del mio viaggio a New York.
Il
post è lungo, io vi avviso, ma è venerdì e non c'avete un cazzo da
fare.
_DAY
6
Io
non sono una che si sa organizzare. Se ci sono un botto di cose da
fare io non sono quella che sa metterle in fila. E' per questo che
quando, sedute a cena a Brooklyn, Amica Barbara con mappa di
Manhattan alla mano mi ha detto: “potremmo fare che sabato partiamo
da casa mia [Lower East
Side] e ci facciamo a
piedi tutto il giro di China Town, butti un occhio a Little
Italy che tanto è piccola e ci mettiamo poco, poi facciamo il
Financial District, attraversiamo a piedi il Brooklyn
Bridge (così cominci a capire le differenze con quello di
Wiliamsburg) e finiamo a DUMBO”.
DIN
DIN DIN JACKPOT!
Praticamente
TUTTO. Tutto quello che mi mancava ancora da vedere.
Messa
giù così mi è sembrata un'impresa titanica al pari di una
maratona, ma non è stata inaffrontabile come impresa, sono circa 10
km. Affrontabilissimi, con un paio di calzature comode e un clima
accettabile.
Siamo
partite verso l'ora del brunch, saranno state le 11, dopo un ricco
pasto da Schiller's (sempre gli stessi di Balthazar)
a base di
pancakes (terzo elemento alla base della cucina americana dopo BURGER
e CUPCAKES) e french toast, ci siamo incamminate per le vie del Lower
East Side.
Di
China Town mi avevano detto una cosa per riassumerla: PUZZA.
Avevano
ragione.
Puzza
di pesce, di marcio, puzza di pesce marcio.
Ci
sono ortaggi, spezie, oggetti e PUZZE che non avevo mai sentito in
vita mia.
Ed
è affollatissima.
C
'è da dire che era pure sabato mattina e a quell'ora anche il
mercato di Via Benedetto Marcello è affollato.
Ma
i cinesi, nella loro operosità e nel loro muoversi in circolo come
formichine, fanno sembrare ogni piccolo spazio sovraffollato.
Dopo
qualche passo entriamo nell'ormai sempre più piccola Little Italy,
quello che dovrebbe essere il quartiere più italiano di tutti e che invece si
rivela un ammasso di stereotipi del Bel Paese a base di festoni
colorati tra un palazzo e l'altro, pasta con le polpette di carne
“just like grandma” (MA QUALE NONNA? MA LA TUA FORSE) e SALICCE
CON PEPPERONI (tipico piatto italiano, eh).
Schiviamo
una manifestazione di protesta per qualcosa di cinese e dopo aver
attraversato una strada siamo già nel Financial District.
Ma
come è possibile che poco più in qua ci si trovi in mezzo alle
botteghe puzzolenti di pesce e poco più in là in mezzo ai
tribunali, alle camere di commercio e ai palazzoni?
Niente,
è così, basta una strada a due corsie per cambiare completamente
scenario.
Come
si arriva nel quartiere finanziario non si può fare a meno di
portare gli occhi al cielo, vista l'altezza dei palazzi. I
grattacieli sono tutti qua. Compresi quelli che non ci sono più,
ma che si sentono benissimo.
La
Freedom Tower è ancora in costruzione ed è impossibile non fermarsi
ad osservare questo monumento a quella capacità tutta americana di
rialzarsi e di arrivare più in alto di prima.
Pochi
cazzi, gli americani non li tiri giù, nemmeno con una strage come
quella del 11 settembre.
Senza
nessun parere sulla loro discesa in campo bellica della quale non ho
un opinione così documentata da poterne parlare qua, quello che ho
visto al World Trade Center è la loro resilienza.
Si
tirano su le maniche, fissano una bandiera e ricominciano. Il loro
essere teatrali, il loro (ri)mettersi in scena ha quest'immenso lato
positivo: dare un messaggio di forza. Non necessariamente di forza
fisica ma di forza interiore, contrariamente alle nostre città che
vengono giù con ogni terremoto e lì rimangono inermi, in attesa che
lo Stato aumenti le accise sulla benzina per pagare una
ricostruzione che non avverrà mai, mentre i civili continuano a
vivere nei container.
E
se adesso le aziende, le corporation e i businessman fanno a gara per
prenotarsi un ufficio su quella torre della libertà che è costata
loro tre mila morti, noi rimaniamo a guardare, stupefatti, la loro
grandezza, la loro forza, il loro patriottismo.
La
visita al 9/11 Memorial è gratuita ma va prenotata, quindi armatevi
di cellulare connesso ad internet quando siete sul posto o prenotate
anche con qualche ora di anticipo da un internet point altrimenti
andate lì a vuoto.
Ci
sono queste due fontane quadrate che contengono altrettanti quadrati
concentrici di cui è impossibile scorgere il fondo, nella stessa
posizione e dello stesso perimetro della Torre Nord e della Torre
Sud.
Il
rumore dell'acqua è assordante e rende questo piccolo parco quasi un
oasi nel centro della città, anche se mi è sembrato un luogo sacro
quanto un cimitero.
E
poi ci sono gli oltre 2.900 nomi: quelli del volo in Pennsylvania,
quelli del Pentagono, quelli che stavano lavorando in ufficio e tutti
i pompieri che si sono sacrificati prima di capire che stava
crollando tutto.
Come
dicono gli americani, “overwhelming”.
E
la pace, in quel parchetto con centinaia di alberi tutti uguali, non
si può descrivere a parole.
Procediamo
sempre a piedi verso l'imbocco del ponte di Brooklyn e noto che
davvero SOLO QUALCHE ALTRO CENTINAIO DI AMERICANI ha avuto oggi la
nostra stessa idea.
Sfatiamo
subito questo mito, attraversare il ponte non è poi chissà quale
fatica, non sono nemmeno due km e sono fattibilissimi (fate
attenzione ai ciclisti, ho osato camminare lievemente più a sinistra
del serpentone umano che mi precedeva e stavo quasi per essere
ASFALTATA da un pazzo ciclista alle mie spalle che mi ha urlato
NEVER DO IT AGAIN, ma che minchia vuoi amico QUESTO E' UN PAESE
LIBERO E IO CAMMINO DOVE CAZZO MI PARE).
Povera
Amica Barbara mi perdeva come un qualsiasi bimbo tedesco sulle
spiagge di Lignano, facevo foto ogni decina di metri, osservando
dettagli del ponte che, in effetti, è difficile da confondere con
quello di Willamsburg (uno è in ferro, l'altro sembra avere i
mattoni), guarda di qua guarda di là ho abbassato lo sguardo sui
miei piedi e ho notato che sotto di me, tra una trave di legno e
l'atra c'era SBAM.. il fiume.
Ah!
Ahahahah!
Ah.
No.
Tipo
i brividi lungo la schiena. Eccerto. Sto camminando sospesa sull'East
River. E' un ponte. E' a questo che servono i ponti, no?
Certo.
Ma vederti l'acqua a qualche decina di metri di altezza sotto di te
fa TUTTO UN ALTRO EFFETTO.
Allegra,
pimpante e schivando i venditori di mango arriviamo dall'altra parte,
ci catapultiamo nel parchetto di DUMBO.
No,
non Dumbo quello della Disney, gli americano amano gli acronimi
quindi sta per Down Under the Manhattan Bridge Overpass.
DUMBO
è un altro quartiere rispetto a Williamsburg ma l'aria che si
respira è più o meno la stessa: moltissimi giovani, tutti rilassati
e nessuno di molesto.
Bhè
certo, a parte lui, che è una vera istituzione del quartiere.
Ci
sdraiamo come balene spiaggiate sul prato, mangio un insalata sui
tavolini vista PONTE DI BROOKLYN--STATUA DELLA LIBERTA'--GRATTIACIELI DEL FINANCIAL
DISTRICT e mi rendo conto che in effetti questa
città sa come convincerti per rimanere. Complice sicuramente la
splendida giornata di sole, pare tutto a misura di uomo, anche una
cosa così strana come “attraversare il ponte di Brooklyn” finora
visto solo sulle cartine del chewing-gum, manco fosse uno stargate
spazio-temporale.
Schiller's
– 131 Rivington Street
9/11Memorial – Albany Street
_DAY
7
Nel
giorno in cui il Signore riposò io non ho fatto altrettanto essendo
il mio ultimo giorno prima della partenza.
E
quante cose mancavano ancora alla lista delle COSE AMERICANE DA FARE!
Amica
Barbara pur essendo una mezzosangue newyorchese molte cose turistiche
non le ha fatte, un po' come me che vivo a Milano da sei anni ma guai
ad andare una volta in cima al Duomo a vedere le guglie o alla Scala
a vedere un balletto (vero amore?), è così TURISTICO! Quindi ha
approfittato della mia presenza per fare quelle cose che se hai
qualcuno che ti ci trascina ok, altrimenti non è che ci vai.
E
dov'è che non ci andresti mai se non avessi qualcuno che ti
trascina?
Ma
certo, ad HARLEM.
Domenica
mattina, esterno giorno. E' la festa della mamma e come ogni festa
per gli americani è occasione ghiotta per venderti qualcosa.
Qualsiasi cosa. Fiori rossi, fiori rosa, torte, tortine, dolcetti,
cioccolatini, cuori, mamme, cuori a forme di mamme, mamme a forma di fiori.
Cammina
cammina, arriviamo nel luogo di tutte le
domeniche delle Brave Ragazze: a messa.
Ma
non una messa normale, UNA MESSA GOSPEL.
Già
a partire dalle sembianze dell'edificio pare evidente che molto
diverso da una chiesa cattolica, ma poco male, sembra più una scuola
e fuori in cortile ci sono decine di persone “della comunità”
che ci accolgono festosi, ci chiedono se veniamo per la prima volta o
se invece siamo del giro ma no, basta guardarci, siamo un
filo pallide per essere parte di questa comunità senza che nessuno
se ne sia accorto.
Entriamo
e noto subito che ci sono moltissime signore appena fuori
all'ingresso, con i loro migliori vestiti della festa, piene di
pizzi, cappellini, giacchine e borsette pacchiane. Sono anziane donne
del quartiere, sono le mamme del quartiere scoprirò più tardi.
Pur
essendo arrivate prima delle 11, ora presunta di inizio della
celebrazione, quando entriamo stanno già ballando, cantando e
battendo le mani. Siamo entrate e mi sono sentita nel mezzo di uno
show, come se entrassi negli studi di un programma televisivo.
E'
emozionante, loro sanno benissimo che siamo turiste, che loro sono la
nostra attrazione, sono il nostro Trump Tower, non siamo lì per
pregare. Eppure ci accolgono festosi e festanti, come se non avessero
aspettato altri che noi fino a quel momento.
Come
se fossimo in un cinema d'altri tempi, c'è addirittura una persona
che ci accompagna ai nostri posti a sedere.
Siamo
le poche bianche in sala, ma gli altri presenti sono certamente
italiani.
Non
si può fare a meno di sorridere lì dentro, non si riesce a smettere
di battere le mani e tenere il tempo. E' impossibile, sono
contagiosi, sono gioiosi.
Loro
cantano, loro che sono in otto sul palco e sembrano avere voce per
ottanta.
L'officiante
è donna. DONNA capite? Capite cosa può voler dire ascoltare
un'omelia (direi uno speech) da parte di una donna? E' stata
fantastica, è stata spiritosa e ha usato una miriade di casi, di
esempi di vita comune nei quali pure io, di un'altra etnia, di
un'altra lingua, di un altro continente mi sono ritrovata.
Essendo
festa della mamma, le mamme sono state argomento centrale della
mattinata e protagoniste assolute dopo la loro entrata, una alla
volta, in mezzo ai cori di quelle che sembravano mille voci, tutte
vestite di bianco (quelle che erano all'ingresso poco prima), tutte
entrate ballando, ridendo e cantando.
Ero
emozionata, fortemente emozionata, mentre vedevo questa comunità
esprimere affetto a quelle mamme, perché pensavo alla mia di mamma
dall'altra parte dell'oceano e perché pensavo che da noi una cosa
del genere sembrerebbe subito una pagliacciata e non la meravigliosa
esperienza emozionale che stavo vivendo.
Ma
non era ancora finita perché questa comunità essendo abituata a
ricevere la visita dei turisti, ha addirittura un canto di
accoglienza speciale.
Eh
sì, davvero speciale, perché come se non ci avessero notato abbastanza noi
palliducce in mezzo alla folla color caffelatte, ci hanno richiesto
di alzarci in piedi mentre loro ci cantavano WELCOME WELCOME e mentre
le personalità più importanti della comunità venivano a stringerci
la mano.
E
noi lì, dure come pali, con la paresi facciale dai sorrisi che non
sapevamo più come elargire, ripetendo THANK YOU a ruota, con le
lacrime per quello che credevamo imbarazzo ma che è diventato
commozione.
Siamo
rimaste per oltre due ore ma non fino alla fine, avevamo pur sempre
dei bisogni da espletare e ancora molte, molte cose da vedere.
Da
Harlem ci siamo scaraventate di nuovo sulla 5a Avenue, per visitare
l'ennesimo spot da turisti della città e cioè la cima del
Rockfeller Center (Top of the Rocks). E se anche voi una volta a NY
vi trovate innanzi all'infernale dubbio se visitare la cima
dell'Empire State o il Top of The Rocks vi dico che sono entrambi
degli stupendi palazzi, ma dal secondo si può vedere Central Park
mentre dall'Empire no (perché appunto c'è il Rock davanti).
E
poi, a 74 piani da terra e con Central Park ai tuoi piedi sembra
tutto meravigliosamente piccolo.
Sono
rimasta lì a guardare un panorama che pareva lo sfondo di un film,
una di quelle viste dall'elicottero, lo sfondo stampato su un
poster.
Da
questo momento in poi è stato il momento di una pedicure nel mezzo
di Williamsburg (unghie rosa evidenziatore, per sentirmi una di loro)
e dell'acquisto dei souvenir: le mutande di Victoria's Secret, i braccialetti da Williamsburg, la collana
da Brooklyn, la tazza IO AMO NY, i sottobicchieri di Kate Spade, la collana da J.Crew, l'olietto per capelli miracoloso e il fondotinta
a prezzo scontato.
Ma
purtroppo non ce l'ho fatta a completare la lista delle cose
americane da fare. Perché quando sei in America vuoi fare tutte le
cose americane. La mia, personale lista di cose americane da fare
era:
SALIRE
IN CIMA ALLA STATUTA DELLA LIBERTA'
FARE
SPESE DA VICTORIA'S SECRET
COMPRARMI
LA FELPA DEL GAP AMERICANO
VEDERE
UNA CELEBRITY AMERICANA PER STRADA
MANGIARE
IL POLLO FRITTO AMERICANO
COMPRARE
QUALCOSA DA TIFFANY'S
SALIRE
SU UN TORO MECCANICO
GIOCARMI
LE MUTANDE A POKER INDOSSANDO SOLO UN ABITO DI PAILETTES AL CASINO
SALIRE
ALL'EMPIRE STATE BUILDING
GUARDARE
GOSSIP GIRL IN TEMPO REALE CON IL RESTO DELL'AMERICA E NON IN
STREAMING
ENTRARE
IN BORSA (SENZA FARE UN'IPO)
FARE
IL GIRO DI MANHATTAN SULLA BARCHETTA
MOLESTARE
I MODELLI DI ABERCROMBIE
NOLEGGIARE
LA CARROZZA DI CAVALLI A CENTRAL PARK. DI NOTTE. CON LA NEVE.
La
lista è lunga ed è ben lungi dall'essere completata, soprattutto
con un solo viaggio.
Certo
direte voi, molte cose le potevo fare anche qua. Non è che serve
andare a NY per mangiare il messicano.
Non
serve andare in America per comprare qualcosa da Tiffany's (basterebbe andare in Via della Spiga), non serve
attraversare l'oceano per salire su un toro meccanico (pur non
avendone mai visto uno da queste parti, ma sono certa che a Los
Angeles ne sia pieno) e sono piuttosto certa che non serva nemmeno andare per forza a Las Vegas o ad Atlantic City per lasciare le mutande sul tavolo da poker (basterebbe visitare una poker room online), ma quella
puntata di Sex And The City mi è rimasta nel cuore e vorrei
anche io un giorno indossare qualcosa 100% poliestere
catarinfrangente in un casino americano.
Insomma,
la mia epopea newyorchese è conclusa e immagino ora vogliate tutte
sapere
Ci
sono cose che non scambierei mai con un'americana e altre che
prenderei volentieri.
Prenderei
volentieri il loro modo di intendere la città, la metropoli, il loro
essere a misura d'uomo, il loro essere facili, cordiali seppur
falsamente, i loro parchi, il loro fair play e, pensate un po', pure
il loro perbenismo.
Non
prenderei mai la loro cucina, la loro eccessiva offerta commerciale,
il loro essere sempre in scena come uno show.
Parigi
e New York non si possono paragonare perché non hanno nulla in
comune ma se dovessi scegliere dove andare a vivere un giorno
sceglierei forse, probabilmente, magari....
Lei.
Top of the Rock - 30 Rockfeller Plaza
Non voglio dire che te l'avevo detto, ma te l'avevo detto.
RispondiEliminaStazzitta
Ho sempre snobbatto la East Coast forse traviata dai mille telefilm ambientati in California, ma mi hai fatto venire voglia di andarci.
RispondiEliminaSeppur tutte le mie esperienze americane (lunghe davvero e meno lunghe) si sono svolte tra San Francisco e Los Angeles mi son ritrovata moltissimo in quello che hai scritto e, mannaggiacristo, mi hai fatto venire un'immensa nostalgia.
PS Las Vegas vale una visita. Con mutandine in poliestere o meno, ma vale.
NY for evaaaaaah!
RispondiEliminaio ho pianto quando ho visto il coro gospel ad Harlem. Una delle esperienze più emozionanti della mia vita! magari la messa fosse così anche da noi. Non mancherei una domenica...
RispondiEliminaMa nell'ultima foto sei tu? Magrerrima.
RispondiEliminati invidio, molto.. ma non in modo negativo! è sempre stato un mio sogno andare a NYC e presto ci andrò ^^ non ho ancora fatto i biglietti ma i € ci sono e ora mancano ferie del fidanzato e ferie mie (prima dovrei trovarmi un lavoro, ma tant'è!)
RispondiEliminati invidio, ancora... e sono contenta di aver letto questo post :)
NOLEGGIARE LA CARROZZA DI CAVALLI A CENTRAL PARK. DI NOTTE. CON LA NEVE. quella è solo per Carrie e il russo :)!
RispondiEliminagran bel racconto...che voglia di andare!!
il mondo deve sapere GLI SPAGHETTI ALLA BOLOGNESE NON ESISTONO.
RispondiEliminadetto in maiuscolo!
mi sa che te lo avevo detto anche io (ah, hai registrato la Messa gospel! Anche io avevo tentato a Washington, ma la signora che ci aveva accompagnate a sedere mi ha fatto subito nonononono con il ditino!)
RispondiEliminaA me dispiace che questa sia l'ultima puntata del tuo viaggio a New York...è stato uno spasso leggerti!
RispondiEliminahttp://milkandtulips.blogspot.it/
GRANDE!
RispondiEliminaSono stata molte volte a NY ma soltanto a giugno sono riuscita a "viverla" non da turista, avendo accompagnato mia mamma in un viaggio di lavoro di due settimane. La sensazione che la città mi ha dato è che se ti impegni, puoi avere tutte le possibilità per riuscire. "You'll never too old to change your path", mi ha detto una docente a un colloquio improvvisato.
RispondiEliminaBando alle ciance, di chi è la collana che indossi nella foto con marinière e pantaloni rossi?
Sternflammende
Ho notato che quella collana piace molto, ogni volta che mi faccio una foto mi chiedete sempre di chi è!
EliminaNon è di nessuno in particolare, l'ho comprata al mercatino Elita della domenica al Teatro Parenti (Milano) per 15 euro. Ne sto cercando di simili da un anno ma ancora non ne ho trovate!
Zit
* You're , magari XD
RispondiEliminaanch'io sono stato semi-arrotato dal ciclista sul ponte di Brooklyn.
RispondiEliminaIl problema è che nel mondo normale i ciclisti arrotano la gente, per principio.
A Berlino hanno su qualun que marciapiede una striscia di un colore diverso (tipo sampietrini rossi qui e lastre grigie li). Mettci un piede sopra e SWUM! teutonicamente e ciclisticamente eliminato.
Che quella roba lì, se sei tedesco e ciclista, è roba tua, tipo la Polonia.
E, si, Little Italy, bleagh! Chinatown, lassamo perdè.
Però io mi ero infilato due strade più in là in un negozio di stoffe gestitoda un ebreo che parlava Yiddish stretto - una scenette tipo i robottini che fanno i pantaloni a Woody Allen in Il Dormigliore...
Neanche io voglio dirti che te l'avevo detto, ma te l'avevo detto pure io.
RispondiEliminaah ah ah
RispondiEliminala tua foto al ponte di Brookling è mitica: mi cheido se qualcuno riesca a farla dritta, io ci sono stata due volte ed entrambe le volte l'ho fatta storta, esattamente come te!!
ah ah ha !
elena
viaggio di nozze Parigi e New York già prima della partenza preferivo New York, teoria confermata al ritorno! NY è caotica, rumorosa, si corre sempre però è magica! Poi in viaggio di nozze a luglio a NY ci abbiamo concepito il nostro pupetto! altro che souvenir!!! ;o)))))
RispondiElimina(comunque io da Tiffany ci ho preso un girocollo....altro che via della spiga l'emozione di entrare nella storia!!)
Bello il tuo reportage. New York va vista, ma se dovessi scegliere, negli Stati Uniti meglio Chicago o San Francisco. E in realtà, dovendo *davvero* scegliere, Europa tutta la vita. Magari Amsterdam.
RispondiElimina