Non volevo essere una
bridezilla ma sfido chiunque ad affrontare un matrimonio e una ristrutturazione
contemporaneamente, a non diventarlo.
Pensavo che sposarsi
fosse fighissimo invece arriviamo a sera o peggio, al week-end, che anziché
sembrare due fidanzatini cuoricini che si danno i bacini per strada, litighiamo
come due parlamentari alla Camera davanti ai rivenditori di piastrelle, di
divani, di serramenti.
Eppure, ogni volta che
penso alla mia Casa Immaginaria, mi si apre il cuore.
La sera, prima di
addormentarmi, anziché pensare ai coniglietti che saltano le staccionate, penso
a quando varcherò la soglia di casa mia e dall’ingresso vedrò il divano e quel
meraviglioso tavolo in legno massello che ho puntato da Maison du Monde da
circa 2 anni.
Penso al mio letto, al
materasso ortopedico con strato in schiuma e molle insacchettate singolarmente,
penso al cuscino nuovo in lattice, penso all’armadio a muro bianco e agli
stucchi sul soffitto che sarò –sicuramente- riuscita a recuperare e
valorizzare.
Penso al pavimento in
grès, sì cazzo in grès, e non in parquet perché voglio una casa con lo sbatty
al minimo, perché questa casa sarà il mio lascito su questa terra, ai miei
figli, ai miei nipoti. E io so che le generazioni future mi ringrazieranno per
non averli costretti a togliersi le scarpe all’ingresso.
Penso alle porte e a
tutti i preventivi che abbiamo chiesto, alle maniglie e a tutte le aziende di
maniglie che abbiamo consultato (ciao Colombo!), penso
quanto ci siamo scannati per ogni minima decisione: dai serramenti fino al divano.
In certi giorni mi chiedo
se faccio bene a sposarlo. Dopotutto, non siamo ancora arrivati ai sanitari.
Ma visto che non stiamo
facendo passi avanti solo in cantiere (sono cominciati i lavori! Sono cominciati
i lavori! E’ arrivata la prima fattura! E’ arrivata la prima fattura che ha 5
cifre!): anni di commedie romantiche mi hanno insegnato che “per organizzare
un matrimonio bisogna cominciare un anno prima” (dovreste sentire mia madre con
quale somma saccenza scandisce questa frase, come se il matrimonio avesse una
data di scadenza), sabato 24 ottobre ho indossato per la prima volta un abito
da sposa.
Bhè, per essere una che
lavora nella moda dovrei essere abituata no?
No.
Sono stata in un atelier
abbastanza famoso a Milano, Antonella del Brusco, che ha organizzato una due
giorni dedicata alla nuova collezione di Jenny Packham.
Jenny Packham chi? Quella
che veste sempre quella gran culo di Kate Middleton agli eventi.
Avevo preso appuntamento
insieme ad una mia amica che dovrebbe sposarsi anche lei il prossimo anno (dico
dovrebbe perché non ha ancora fissato la data) ma quando sono entrata lei stava
parcheggiando quindi l’impatto, quello SBAM
di tulle avorio, cristalli, chiffon e seta mi ha rimbambita togliendomi l’uso
della parola e mi ha impedito di affrontare l’appuntamento con la giusta razionalità.
Non ero io. Ero Lucia a 7
anni dentro la casa di Barbie Luce di Stelle.
Imbambolata nel mezzo della sala, tra due file di abiti appesi, in mezzo a vetrinette di tiare e velette.
La venditrice mi ha
raccolto prima che andassi in sbattimento (“oddio, ma sta succedendo veramente?”)
e mi ha fatto sedere per compilare “la scheda”.
Dopo aver comunicato data
e location, la venditrice ha scelto in maniera veloce 5/6 abiti da farmi
provare, ovviamente uno più bello dell’altro.
Nel frattempo la mia
amica era arrivata ma, cosa che trovo assurda, non è potuta rimanere con me nel
camerino (una stanza grande quanto una camera da letto), perché non dovevo essere influenzata.
Nemmeno stessi votando
per l’elezione del Presidente della Repubblica.
Il primo abito che ho provato è un abito che ha indossato Kate Middleton e che speravo mi cadesse come a lei.
AHAHAHAHAH!
NO.
Ma la cosa più strana e
di cui non mi ero mai accorta nelle 2.683 puntante di Say Yes to The Dress che ho visto, è che quando provi un abito da
sposa non sei mai sola.
Non dico al momento in
cui lo indossi (è necessario qualcuno che ti aiuti), ma subito dopo, quando ti
stai guardando allo specchio e ti rendi conto che STA SUCCEDENDO.
Quando mi provo un paio
di pantaloni di Zara ho bisogno dei miei 10 minuti per guardarmi da davanti, da
dietro, ho bisogno di fare la sfilata in punta di calzini fino allo specchio
esterno, ho bisogno di fare le foto e mandarle a qualcuno, ho bisogno di farmi
le foto e non mandarle a nessuno, oppure farmi una foto con la luce giusta e postarla.
Invece con un abito da
sposa no, ti costa le migliaia di euro eppure non è consentito nemmeno
concedersi 5 minuti con l’abito addosso per sentirti donna mentre ti guardi
meravigliata come una bimba.
Mi sono ritrovata lì,
mezza nuda e con la testa in un cappuccio di tulle, davanti ad una signora e la
sua assistente che mi infilavano e sfilavano gli abiti, raccomandandomi anche
di non muovermi e non camminare perché le scarpe che mi avevano dato avevano le
pietre davanti e avrebbero rovinato gli orli.
Quindi ho provato degli
abiti che avevano dello strascico ma senza nemmeno la possibilità di fare 5
passi, talvolta nemmeno 3 e verso lo specchio.
Mentre la mia amica
continuava a fare su e giù dai divanetti dell’ingresso, io mi stavo sbirciando
per la prima volta con un abito da sposa addosso.
Forse, il fatto che il
primo non mi cadesse bene mi ha riportato un po’ sulla terra.
A parte la velocità con
cui mi è sembrato sia stato gestito l’appuntamento, non ho nulla da dire sul
servizio dell’atelier che, per altro, mi ha pure concesso queste foto che la
loro fotografa stava scattando per pubblicizzare successivamente l’evento. Era
una giornata speciale e dedicata completamente a Jenny Packham quindi forse in
un sabato normale le cose sarebbero andate con più calma. Oppure forse, essendo per me la
prima volta, mi è sembrato tutto un grandissimo ciclone durato un’ora, dal
quale sono uscita ubriaca!
Quindi, sono lì, davanti
allo specchio e finalmente trovo un abito che effettivamente mi piace e che
trovo pure adatto al genere di matrimonio che ho in mente.