lunedì 2 novembre 2015

Mi sposo: Non volevo essere una Bridezilla

Non volevo essere una bridezilla ma sfido chiunque ad affrontare un matrimonio e una ristrutturazione contemporaneamente, a non diventarlo.
Pensavo che sposarsi fosse fighissimo invece arriviamo a sera o peggio, al week-end, che anziché sembrare due fidanzatini cuoricini che si danno i bacini per strada, litighiamo come due parlamentari alla Camera davanti ai rivenditori di piastrelle, di divani, di serramenti.
Eppure, ogni volta che penso alla mia Casa Immaginaria, mi si apre il cuore.
La sera, prima di addormentarmi, anziché pensare ai coniglietti che saltano le staccionate, penso a quando varcherò la soglia di casa mia e dall’ingresso vedrò il divano e quel meraviglioso tavolo in legno massello che ho puntato da Maison du Monde da circa 2 anni.
Penso al mio letto, al materasso ortopedico con strato in schiuma e molle insacchettate singolarmente, penso al cuscino nuovo in lattice, penso all’armadio a muro bianco e agli stucchi sul soffitto che sarò –sicuramente- riuscita a recuperare e valorizzare.
Penso al pavimento in grès, sì cazzo in grès, e non in parquet perché voglio una casa con lo sbatty al minimo, perché questa casa sarà il mio lascito su questa terra, ai miei figli, ai miei nipoti. E io so che le generazioni future mi ringrazieranno per non averli costretti a togliersi le scarpe all’ingresso.
Penso alle porte e a tutti i preventivi che abbiamo chiesto, alle maniglie e a tutte le aziende di maniglie che abbiamo consultato (ciao Colombo!), penso quanto ci siamo scannati per ogni minima decisione: dai serramenti fino al divano.
In certi giorni mi chiedo se faccio bene a sposarlo. Dopotutto, non siamo ancora arrivati ai sanitari.

Ma visto che non stiamo facendo passi avanti solo in cantiere (sono cominciati i lavori! Sono cominciati i lavori! E’ arrivata la prima fattura! E’ arrivata la prima fattura che ha 5 cifre!): anni di commedie romantiche mi hanno insegnato che “per organizzare un matrimonio bisogna cominciare un anno prima” (dovreste sentire mia madre con quale somma saccenza scandisce questa frase, come se il matrimonio avesse una data di scadenza), sabato 24 ottobre ho indossato per la prima volta un abito da sposa.
Bhè, per essere una che lavora nella moda dovrei essere abituata no?

No.

Sono stata in un atelier abbastanza famoso a Milano, Antonella del Brusco, che ha organizzato una due giorni dedicata alla nuova collezione di Jenny Packham.
Jenny Packham chi? Quella che veste sempre quella gran culo di Kate Middleton agli eventi.
Avevo preso appuntamento insieme ad una mia amica che dovrebbe sposarsi anche lei il prossimo anno (dico dovrebbe perché non ha ancora fissato la data) ma quando sono entrata lei stava parcheggiando quindi l’impatto, quello SBAM di tulle avorio, cristalli, chiffon e seta mi ha rimbambita togliendomi l’uso della parola e mi ha impedito di affrontare l’appuntamento con la giusta razionalità.

Non ero io. Ero Lucia a 7 anni dentro la casa di Barbie Luce di Stelle.

Imbambolata nel mezzo della sala, tra due file di abiti appesi, in mezzo a vetrinette di tiare e velette.
La venditrice mi ha raccolto prima che andassi in sbattimento (“oddio, ma sta succedendo veramente?”) e mi ha fatto sedere per compilare “la scheda”.
Dopo aver comunicato data e location, la venditrice ha scelto in maniera veloce 5/6 abiti da farmi provare, ovviamente uno più bello dell’altro.
Nel frattempo la mia amica era arrivata ma, cosa che trovo assurda, non è potuta rimanere con me nel camerino (una stanza grande quanto una camera da letto), perché non dovevo essere influenzata.
Nemmeno stessi votando per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Il primo abito che ho provato è un abito che ha indossato Kate Middleton e che speravo mi cadesse come a lei.
AHAHAHAHAH!

NO.

Ma la cosa più strana e di cui non mi ero mai accorta nelle 2.683 puntante di Say Yes to The Dress che ho visto, è che quando provi un abito da sposa non sei mai sola.
Non dico al momento in cui lo indossi (è necessario qualcuno che ti aiuti), ma subito dopo, quando ti stai guardando allo specchio e ti rendi conto che STA SUCCEDENDO.
Quando mi provo un paio di pantaloni di Zara ho bisogno dei miei 10 minuti per guardarmi da davanti, da dietro, ho bisogno di fare la sfilata in punta di calzini fino allo specchio esterno, ho bisogno di fare le foto e mandarle a qualcuno, ho bisogno di farmi le foto e non mandarle a nessuno, oppure farmi una foto con la luce giusta e postarla.
Invece con un abito da sposa no, ti costa le migliaia di euro eppure non è consentito nemmeno concedersi 5 minuti con l’abito addosso per sentirti donna mentre ti guardi meravigliata come una bimba.
Mi sono ritrovata lì, mezza nuda e con la testa in un cappuccio di tulle, davanti ad una signora e la sua assistente che mi infilavano e sfilavano gli abiti, raccomandandomi anche di non muovermi e non camminare perché le scarpe che mi avevano dato avevano le pietre davanti e avrebbero rovinato gli orli.
Quindi ho provato degli abiti che avevano dello strascico ma senza nemmeno la possibilità di fare 5 passi, talvolta nemmeno 3 e verso lo specchio.
Mentre la mia amica continuava a fare su e giù dai divanetti dell’ingresso, io mi stavo sbirciando per la prima volta con un abito da sposa addosso.
Forse, il fatto che il primo non mi cadesse bene mi ha riportato un po’ sulla terra.
A parte la velocità con cui mi è sembrato sia stato gestito l’appuntamento, non ho nulla da dire sul servizio dell’atelier che, per altro, mi ha pure concesso queste foto che la loro fotografa stava scattando per pubblicizzare successivamente l’evento. Era una giornata speciale e dedicata completamente a Jenny Packham quindi forse in un sabato normale le cose sarebbero andate con più calma. Oppure forse, essendo per me la prima volta, mi è sembrato tutto un grandissimo ciclone durato un’ora, dal quale sono uscita ubriaca!
Quindi, sono lì, davanti allo specchio e finalmente trovo un abito che effettivamente mi piace e che trovo pure adatto al genere di matrimonio che ho in mente.




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lunedì 19 ottobre 2015

Quindi mi sposo

Considerando che ho fatto della mia identità –non più- segreta online un vessillo della fiera vita da single, non posso esimermi dall’annunciare che sì, in effetti, mi sposo.
Lontani i tempi in cui raccontavo della Pertica, dello Scrittore, di Enrico 3-0, di quel genere di uomini a cui piaci ma non abbastanza per richiamarti, di quelli che ti cercano e poi ti lasciano appesa al bancone del bar.
Dopo 3 anni insieme e mille, ma davvero mille, ostacoli, difficoltà, notti in bianco, cuscini bagnati di lacrime, depressioni profonde come la Fossa delle Marianne, pianti, colpe, drammi, maledizioni invocate, piatti per aria e coltelli lanciati (ehm), siamo ancora qui, siamo io e lui.
Non ho affrontato a sufficienza il tema relativo al suo ritorno da Londra perché, come si era intuito dal mio Twitter, tra gennaio e aprile non ho passato un bel periodo e per quanto abbia subito una netta svolta al momento del suo ritorno, rialzarsi non è stato immediato.
La ricerca della casa ci ha succhiato ogni energia e quando credevamo di aver raggiunto il punto massimo di stanchezza e sfinimento (agenti immobiliari, amministrazioni condominiali, banche, notaio, agenzia delle entrate, padroni di casa, IMU, architetti, imprese di ristrutturazioni…) abbiamo realizzato che, di fatto, eravamo solo all’inizio.
Ma torniamo al mio status di Zitella: come ho già detto mille volte, Zitelle ci si nasce e di certo non smetterò di esserlo da sposata.
Essere zitelle è sostanzialmente essere rompicoglioni e modestamente, credo che almeno su questo non troverò mai pace.
Di certo la Zitella del 2010 che ha aperto questo blog è diversa da quella del 2015: ora non trovo ora interessante parlare della cellulite di Beyoncé o delle cosce di Kelly Osbourne ma non rinnego il passato, un po’ come non rinnegherei la collana a tatuaggio che indossavo nel 2000 o la camicia di ciniglia del 1998.
Ammetto che ho passato gran parte della mia vita a pensare che non mi sarei mai sposata, che non avrei mai trovato un vero compagno, che nella vita o sei felice dall’inizio o non lo sarai mai (cit.)

Io e Diego ci siamo conosciuti al lavoro, quando lavoravamo da Prada.
Lavoravamo insieme tutti i giorni e spesso mi ritrovavo a flirtare con lui senza nemmeno rendermene conto, suscitando l’ilarità del mio ufficio che già prevedeva l’epilogo di cui è oggetto questo post.
Ho passato un anno e mezzo a dire “ma va, io con quello? Ma l’hai visto che capelli? E’ ridicolo” salvo poi gongolare davanti alla chat di Skype quando mi mandava i cuoricini e mi risolveva i bug.
Al primo aperitivo in realtà l’ho invitato io ma dopo il primo bacio avevo già deciso che NO, a me con ‘sto capellone non interessa uscire. Posso dire che poi però il suo essere un Ariete stracciapalle è emerso e ha ottenuto il secondo e decisivo appuntamento in cui si è giocato il tutto per tutto un po’ come Schillaci ai Mondiali.
Vi risparmio il racconto dei successivi 3 anni nonché del periodo da pendolari dell’amore sull’asse Milano-Londra e arrivo direttamente al mio ultimo compleanno.
Nel periodo in cui ci siamo lanciati i coltelli all’inizio di quest’anno, gli è scivolata di bocca una cosa tipo “ma io al tuo compleanno volevo riportarti a Parigi”.
Come ben si sa, qualsiasi sillaba pronunciata durante un litigio, viene appuntata e archiviata in un apposito file nella memoria dei Ricordi Base.
Posso dimenticarmi il cognome del CFO dell’azienda per la quale lavoro, posso dimenticarmi il nome della pizzeria davanti alla quale passo tutti i giorni ma ricorderò per sempre quello che hai detto quando stavamo litigando, come l'hai detto e cosa indossavi nel momento in cui lo stavi dicendo.
Nonostante i mesi passassero, tenevo sempre a mente che in ballo poteva esserci Parigi, se non altro per rinfacciarlo al momento giusto (Ah, non andiamo a Parigi? Benissimo. Muori)
Ma il caro eroe di queste pagine sapeva di avere a che fare con una delle Vergine e che niente di quello che dici, hai detto o dirai passerà mai inascoltato alle mie orecchie.

Gli indizi per arrivarci da sola non sono mancati, 5 stagioni di Homeland e 3 di The Americans non sono passate invano e a me non sfugge manco uno scontrino nel bidone della carta.
Ormai giunti al week-end del mio compleanno la destinazione già la sapevo, nonostante le continue rassicurazioni sul fatto che avremmo trascorso “uno splendido week-end presso un resort a Cinisello Balsamo”.
Nemmeno il tempo di arrivare in aeroporto che io mi ero già scorticata i piedi dall’entusiasmo, senza contare che per la prima volta stavo arrivando a Parigi CON IL SOLE.

Giusto per essere preparata ad ogni evenienza mi ero stampata il post della Connie sui luoghi poco comuni da visitare a Parigi, ma appena poggiato piede sul suolo francese non abbiamo resistito e abbiamo noleggiato una bici con l’intento di vagare senza meta dal Marais verso l’ignoto.



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mercoledì 2 settembre 2015

Quando hai comprato casa sei nella povertà più felice della tua vita

Quale ignoto buco nero mi avrà inghiottita negli ultimi 7 mesi?
Chi, o meglio cosa, mi avrà tenuta impegnata a tal punto da non aver avuto più tempo né di farmi una ceretta, né –figuriamoci- di dedicarmi un’ora per una pedicure come dio comanda?
Perché ormai pure in palestra mi hanno dato per dispersa?
Lo sapete, ho comprato casa.

Cazzo sì, dopo 13 anni in affitto di cui 9 a Milano ho finalmente comprato il mio pezzo di mattone.
Il mio pezzo di storia liberty di Milano.
Avessi guadagnato un euro per tutte le volte in cui qualcuno del paesello, dopo aver sentito il costo del mio affitto medio negli anni, ha strabuzzato gli occhi invocando l’acquisto immobiliare, a sta ora mi sarei già comprata la cucina Scavolini deluxe.
Nella mia vita ho abitato solo in una casa.
O meglio: facendo un veloce calcolo ho abitato in 8 case, togliendo quella natale.
Affettivamente però direi che il mio cuore è, e sarà sempre, nella casa del Paesello.
Praticamente invece mi chiedo dove saranno i miei cd di Ambra che non vedo più da almeno 3 traslochi.

I miei genitori hanno insistito diverse volte negli ultimi centordici anni affinché comprassi casa ma, avendo una concezione della casa come un bene durevole, stabile, piantato nel terreno, immobile, categorico, definitivo io non me la sono mai sentita perché non riuscivo ad affrontare né mentalmente il pensiero “ok, allora io resto a Milano eh” né operativamente la questione “dovrei chiamare gli agenti immobiliari?”.
Quindi, per la mia natura, non considero acquistare (e ristrutturare, ma quello è n’altro paio di maniche) casa come una cosa che faccio-disfo-rifaccio-svendo. Se acquisto casa è perché per almeno 10 anni non voglio cambiare più nulla, niente più cambi del medico, niente più cambi di residenza all’anagrafe, niente più cambi di supermercato di fiducia.
Non starò quindi a dirvi che comprare casa è bellissimo e divertentissimo.
No, comprare casa è lo sbattimento più grande che potrete mai affrontare.
E’ peggio che cercarsi il fidanzato.

Il tunnel della ricerca casa è cominciato all’inizio di quest’anno perché questi erano i piani, nonostante quell’altro fosse ancora a Londra.
A febbraio, incredibilmente, credevo di avere GIA’ trovato la casa perfetta. Non ci credevo neanche quando l’ho vista: mi è arrivata la mail quotidiana di Immobiliare.it con i nuovi annunci (non sono nuovi annunci, sono sempre gli stessi che girano) e SBAM! Eccola lì! Stupenda, perfetta, esattamente nella via in cui stavo cercando. Ho urlato, ero su Facetime con Diego: “L’HO TROVATA!”
Chiamo l’agente, ci accordiamo per una visita, non si riesce quella settimana. Si posticipa alla seguente.
La sera della visita stavo malissimo, avevo una delle mie emicranie da pronto soccorso, quelle tremende, quelle che devo ricordarmi proprio tutti i sintomi perché poi li devo raccontare al neurologo.
Facendola breve, l’agente se n’è andata perché non mi ha vista.
La mia relazione con gli agenti immobiliari è cominciata subito alla grandissima, con una manifesta intolleranza da parte di entrambe le parti.

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lunedì 11 maggio 2015

Met 2015: Il tema era "vestirsi di merda"

Forse Anna Wintour non sa più che tema proporre, forse ha finito gli argomenti, forse rimane da fare solo una mostra sull’evoluzione del poliestere dal dopoguerra ad oggi (che pensandoci non sarebbe così male, Anna pensaci). Di fatto da dopo la mostra su Prada (2012, io c’ero) non c’è stato più nulla di interessante.
Di esteticamente interessante.
Quel genere di temi che ti fa venire voglia di vedere cosa si sono messe.
Nel 2013 è stato Punk: Chaos to Couture e tutte ci ricordiamo come si era conciata Madonna.
Nel 2014 è stato Charles James: Beyond Fashion e tutte ci ricordiamo Katie Holmes vestita da Bella.
Nel 2015 il tema è China: Through the looking glass. E tutte ci ricorderemo lo scempio color frittata di Rihanna, l’immenso derrière di Beyoncé, le cosce di Jennifer Lopez.
Da insider io ve lo dico: quando qualche brand di moda fa una collezione a tema Paolo Sarpi è perché si vuole battere cassa. I cinesi sono tra i pochi che spendono, sono tanti e fanno gola a tutti. Quindi pioggia di raso elasticizzato, colletti alla coreana e sandali flatform.
Anna non è da meno e quindi ha pensato di rendere omaggio all’ondata di personalità, influencer e attrici cinesi che affollano ormai da anni i red carpet (le varie Bing Bing, Chin Wong etc non le conto più, ormai sono tutte uguali).
Credo a questo punto che quest’anno abbia più senso fare la rassegna al contrario e anziché premiare gli abiti più belli, gli abbinamenti più sensati, le scelte più ammirevoli, sia più divertente buttarla in CACIARA come hanno fatto loro e all’urlo di MA ALLORA VALE TUTTO, cominciare a riderci sopra, a ridere anche e soprattutto della Wintour che dal gotha della moda è temuta come l’Isis in Vaticano ma che quando cerca di imporsi ad una mailing list di un centinaio di personalità tra le più importanti e socialmente influenti del mondo, non conta un cazzo ed empaticamente la trovo più simpatica perché è quello che prova qualsiasi casa di moda quando regala una borsa ad una blogger nella speranza che pubblichi una foto e alla fine non la fa.

Guo Pei Couture

Il più grande WTF della serata ovviamente è stato tutto per la mega frittata di Rihanna: regina di stile, di buone maniere e minimalismo. Nel suo farla fuori dal vaso si è degnata di seguire il tema e la scelta sicuramente non è stata casuale o spontanea. Anna lo sapeva.
L’opulenza del mantello a strascico è straordinaria, la lavorazione è immensa, il peso sarà indicibile. Più la guardavo e più mi chiedevo: “ok ma sotto cos’ha?”.
Morirò con questo dubbio.
Sa assumersi dei rischi la ragazza, bisogna darle merito. Il risultato è tragicomico, i siti di memes ringraziano. Rihanna, per fortuna che ci sei. Voto: 9

Balenciaga

Io Gaga l’apprezzo come cantante. Molto più come cantante che come personaggio.
Personalmente aborro quelle che sentono di dover fare sempre uno statement estetico, un po’ come Lena Dunham. Non dico che dobbiamo essere tutte degli angeli di Victoria, però anche continuare a (tra)vestirsi con look discutibili solo per il gusto di poter dire “sono brutta e me ne vanto” mi sembra quasi peggio di quelle che vanno in giro senza mutande. Insomma Gaga non avrà i lineamenti perfetti ma di certo non è quella donna esteticamente non gradevole che vuole farci credere. E allora perché insistere?
Ad ogni modo il suo look Balenciaga per la serata è certamente a tema. La scelta del copricapo, forse un omaggio alla Statua della Libertà. Il make-up, il solito modo di dire “anche stasera sono cessa”. Voto: 8

Moschino

Madonna avrà il difetto che ci crede troppo, che non molla manco a morire, manco tirarla giù dal palco di forza lei pensa a ritirarsi. Io le voglio bene. Voglio bene a quest’adorabile vecchina con un ego spropositato, una diva che si merita di essere trattata da diva e che gode di tutti i vantaggi collegati al suo status. A lei concedo tutto, a lei perdono tutto. Anche l’eccesso di chirurgia estetica, anche l’ora di ritardo ai concerti, anche una struttura scenica che impedisce di godere dello spettacolo a chi non si può permettere la tribuna. Picchiami, straziami ma io continuerò a consumarmi i polpastrelli sulla tastiera pur di litigarmi l’ultimo biglietto per il concerto su Ticketone.
Ecco quindi che non mi stupisco di vedere che ha un viso più bello del mio che ho 24 anni meno di lei. Non mi stupisco di vederla vestita come una madonna addolorata da Fazio o come un cartello promozionale di Moschino al Met.
A quel Jeremy Scott lì io gli taglierei le mani all’altezza dei polsi pur di non vedere un’altra sfilata a tema “cianfrusaglie” come le ultime ma finché il fatturato va, lasciamolo andare. In Cina son contenti di farvi le vostre cover a forma di patatine del Mac.
L’abito è adorabilmente fuori tema (o forse lo è perché è Made in China?) ma Bitch, I’m Madonna.
Voto: 7

Giles

Solange Knowles è quel fenomeno indie che vive di rendita del suo cognome e di quella splendida scenata muta in ascensore risalente al Met dell’anno scorso. Ci stiamo ancora chiedendo tutti che sarà mai successo tra Solange e Jay Z ma di fatto Beyoncé e marito hanno concluso il tour e nessuno ha saputo più nulla. Quei due non me la raccontano tanto giusta e Beyoncé che se la faceva con Obama sarebbe stato il più bello spin off di Scandal mai pensato ever.
Solange ci crede tantissimo e fa male. Fa proprio male agli occhi. Ma il tema era “vestiti di merda e fai incazzare la Wintour” quindi per una volta non è andata fuori tema. Voto: 7

Givenchy Couture

Beyoncé è un’altra timidona che comincia a farmi una gran tenerezza. Il suo ultimo album è stato tutto un ansimare mezza nuda, come se la cantante più di successo degli ultimi 20 anni avesse ancora bisogno di dimostrare qualcosa. Voleva dimostrarlo a noi o a Jay Z? Da una che canta il femminismo e le gioie della vita da single poi non mi aspetto che faccia video dove si struscia come una gatta in calore su una sedia. Ci sono mille modi per affermare la femminilità per una donna e odio quando viene scelto sempre lo stesso, il corpo. Motivo per il quale questi abiti fatti di nulla mi fanno diventare più moralista bacchettona di una nonna ciellina. Non riesco a considerarlo “solo un abito”. Lo considero un insulto a tutto quello che penso dovrebbe essere una donna. Insieme a Jay Z sembrano un protettore con un escort. Quella coda alta di capelli –spero- posticci poi è stata la ciliegina sulla torta del pessimo gusto. Voto: 3

Atelier Versace

Di Jennifer Lopez ho cercato foto frontali ma non ne ho trovate, il che mi fa pensare che sia stata tutta la serata a farsi fotografare di lato con il suo classico sguardo da smandrappona. 
A Jennifer cosa posso dire? Lei è così. Le mutande non vuole mettersele. Voto: 5


Peter Dundas per Roberto Cavalli

Kim Kardashian ha indossato un Dundas per Cavalli, forse la prima uscita di un abito di Dundas da quando è passato da Pucci a Cavalli (ma se ne era mai andato?).
Come già visto altrove l’abito ricorda moltissimo un Givenchy di qualche anno faindossato da Beyoncé, nonché l’abito di quest’anno indossato da Beyoncé. La colpa non è di Kim, semmai di chi quest’abito l’ha disegnato.
Nulla di nuovo, non esiste essere umano sulla terra ormai che non abbia –già- visto il derriere di Kim Kardashian. La vera novità sarebbe coprirlo.
Voto: 5

Dior Couture

Jennifer Lawrence! C’è ancora! E’ un po’ che non la vedevamo ribaltarsi sui red carpet, no?
La differenza è che l’abito dice poco o nulla. Il brutto di questo accordo con Dior è che in tutto questo tempo che l’hanno vestita ancora non sono riuscita a mettere a fuoco il suo stile. Qual è il suo stile? L’abito confettoso degli Oscar del 2014? L’abito rosso super vamp del 2014? Gli abiti corti? Gli abiti a colonna? Capiamoci, perché a me pare che tutto questo sperimentare abbia portato solo tanta confusione. Lei, poretta, mi pare sempre un pesce fuor d’acqua. Voto: 5

Michael Kors, Ralph Lauren

Kate Hudson e Anne Hathaway sono le nemicheamiche di un capolavoro del cinema degli ultimi anni. Sono state tra le poche a ricordarsi che anche il color oro è tipico delle cineserie.
Tra le due vince a mani basse Kate Hudson non solo perché è più simpatica, ma anche perché Anne è bff di Valentino e non ne approfitta abbastanza.

Valentino, Altuzarra

E a proposito di Valentino e di serie tv: Claire – pazza Carrie – Danes di Homeland e Keri – Elizabeth la russa – Russel di The Americans.
Se non guardate queste due serie non sapete cosa vi perdete, ma soprattutto The Americans che parla della vita di due spie russe nell’America degli anni ’70 fornendo quindi mille spunti di styling più di Pinterest.
La povera Claire ha esagerato con il trucco e l’abito non solo non segue il tema (e vabbhé), ma pure non sembra un Valentino. Peccato mortale. Voto: 5
Keri ha scelto Altuzarra (per me rimane Altazurra) il colore giusto ma l’abito non le rende giustizia. Forse è solo fittato male, sarebbe stato una splendida occasione per esaltare la bellezza raffinata e semplice di colei che è diventata famosa per i suoi riccioli in Felicity. Voto: 6

Giambattista Valli

Allison Williams è una alla quale non darei 10 cent per la strada e poi mi si presenta al braccio di Giambattista Valli al Met.
Lo stesso Giambattista che allunga un abito couture a Lena Dunham.
Lo stesso eh.
Quindi alla fine pensi, dai, c’è speranza. Voto: 9


Penso di non essere stata l’unica a stupirsi quest’anno a vedere quei Prada al Met.
Emily, una delle mie preferite, per me è la migliore della serata: lo stile rigido e impostato di Prada che sempre poco o nulla concede all’effimero mondo dei red carpet, quest’anno è stato perfettamente adatto non solo alla serata ma pure al tema. Un plauso poi alla mia adorata Emily, mio idolo di perfezione assoluta. Voto: 9.5
Ah poi c’è Kerry, quella che ci prova sempre troppo, quella che un po’ basta Olivia Pope, un po’ basta fare i gladiatori, cioè basta dai. Avrei messo delle scarpe arancio corallo che l’ensemble in sé mi pare tutto un po’ eccessivo. Eccesso di tessuto per altro. Voto: 5
Olivia Wilde, la dimostrazione che anche con una forma del viso squadrata si rimane dolcemente femminili. L’abito è un tipico Prada, il tutto mi pare un dejavù di qualcosa di già visto in passerella (soprattutto i guanti) ma non dispiace. Voto: 7

IL GRUPPO DELLE VESTITE DI MERDA CHE HANNO SEGUITO IL TEMA

Chloè Sevigny - J.W. Anderson;  Georgia May Jagger - Gucci;  Maggie Gyllenhaal -  Roland Mouret

Vedi cosa succede a seguire il tema? Mai più Anna, ti prego. Mai più.

IL GRUPPO DELLE BELLISSIME CHE STAREI A CONTEMPLARE PER ORE

Jaime King - Jason Wu per Hugo Boss; Gigi Hadid - DVF

Sono bellissime, ciao.

IL GRUPPO DI QUELLE CHE HANNO FATTO I COMPITI E HANNO VINTO

Sarah Jessica Parker - H&M;  Sienna Miller - Thakoon

Non mi avrete, non mi avrete mai. Io che con i DVD di Sex & The City c’ho fatto l’università e poi c’ho riempito qualche centinaio di serate nei miei primi anni a Milano non mi avrete mai.
Adoro quel telefilm e credo che non esista argomento nella vita di una donna che per il quale io non possa citarvi a memoria una puntata di SATC. Sarah Jessica Parker per me è una brava attrice ma anche una dei migliori personaggi dello showbiz americano che sa giocare con la Moda.
Al Met lei è ancora Carrie, una che sa prendere seriamente la serata ma sa anche divertirsi.
L’abito è un custom H&M che riesce a lanciare riferimenti allo stile asiatico senza esagerare ma il vero capolavoro è il copricapo di Philip Treacy, mastro cappelliere inglese, che riesce a produrre dei semplici capolavori di ingegneria. Per me vince tutto, voto: 10
Sienna, dopo un periodo di malvestitismo immediatamente successivo alla gravidanza è tornata la regina di stile che è sempre stata.

Si sa che io amo i pantaloni nei momenti in cui nessuno se li aspetta (agli Oscar, ai matrimoni, al Met) e infatti trovo la scelta di questo completo deliziosa: attuale, occidentale e con qualche delicato riferimento al tema della serata. Brava Sienna che non sbaglia mai un colpo. Voto: 9
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martedì 14 aprile 2015

Onnipotenza da cityrunner: la Milano Marathon in staffetta 2015

Io giuro che vorrei davvero trovare le parole per spiegare al meglio questo senso di onnipotenza che sento ora.
Perché giuro, è meglio di una droga.
E’ un insieme di emozioni e di sensazioni: mi sento figa, invincibile, completa, forte.
Non mi sento lontanamente quel fallimento umano che invece credo di essere durante la settimana.
In nessun ufficio mi sono mai sentita così adeguata e capace. In nessun’occasione mi sono sentita così figa.
So che sembro in piena botta di endorfine ma ogni volta che faccio una gara, anche se non sono più di primo pelo, le emozioni è come se maturassero e mostrassero aspetti nuovi. Trovo sfumature e che alla prima volta non ho notato, ma che alla seconda emergono.

Dovete provarla, fatemi questo piacere, dovete provare almeno una volta una gara come questa.
Non le Stramilano, non le We own the Night, non le garette cittadine ad uso e consumo di uno sponsor colorato o elettrico. Lasciate quelle passeggiate a chi vuole limitarsi a camminare un po’ e ad avere qualche buona scusa per spararsi un selfie con uno sfondo particolare.
Le gare serie sono dei capolavori.
Dei capolavori di organizzazione innanzitutto (per ora non me la sento di lamentarmi di nulla, ho avuto il mio sacco per il ristoro, c’erano i depositi borse e le auto non mi hanno dato fastidio) e di persone che raramente avreste la possibilità di incontrare.

Lo sapete, io vado matta per l’umanità che corre.
Tu sei lì, nei primi 3 km, quando ancora devi stabilizzare il battito e pensi di vedere la morte e invece incroci il vecchietto settantenne che corre ingobbito ma corre.
Oppure incroci quel ragazzo che hai visto anche al Trofeo del Sempione, quel ragazzo con una gamba amputata che correva con le stampelle e non puoi fare a meno di avvicinarti a lui e urlargli “vai! Sei un grande!!!!”.
Oppure incroci i bambini,  dio mio quanti bambini, che applaudono a noi sconosciuti facendoci sentire dei supereroi, allungando quelle manine dai marciapiedi per darci il 5!

E’ la seconda staffetta, ormai dovrei essere abituata.
Invece no, perché ogni corsa è una scommessa diversa. Con te stessa, con il pacer, con la squadra, con le gambe.
La mia, quest’anno, era di completare la frazione più lunga mantenendo un passo sotto i 6 minuti i 5.45 vicino ai 5.30.

Ma partiamo dall’inizio.
Quest’anno la mia squadra era composta da Alessandra (mia lettrice del blog che ho contagiato al punto che è diventata cityrunner, il mio orgoglio!), Elisa (la pr adidas che l’anno scorso mi ha coinvolto nel progetto a cui voglio un gran bene) e Alessandro (il mio istruttore di TRX e trainer in palestra).

Belli come il sole ad aprile: Elisa, io, Alessandro e Alessandra.

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martedì 10 marzo 2015

Un Cityrunner non molla mai, forse solo se all'arrivo c'è la Nutella

Nessuno ha detto che sarebbe stato facile.
Ma l’osteopata che mi ha fatto scrocchiare una manciata di vertebre venerdì sera ha detto “tu non lo sai o forse ora non lo credi, ma il tuo corpo se lo ricorda come correre una 10 km”.
Aveva ragione lui.

La scorsa settimana ho corso solo 5 km, e pure scarsi, mercoledì.
Nei primi 10 passi sul tapis roulant (giuro) mi è preso quel dolore lancinante intercostale (il diaframma) che è il prezzo da pagare per tutti i principianti.
Avevo settato 7 km, mentalmente ho pensato di farmi due giri del Parco Sempione, distanza che ho sempre fatto abbastanza regolarmente.
Nei primi 300 m ho dovuto fermarmi. Quel dolore al diaframma lì, chi l’ha provato lo sa, è un dolore talmente forte e pungente che impedisce di muoverti. Nemmeno lo stimolo mentale più forte vince con un dolore che pare una pugnalata nel torace.
Ho provato a controllare la respirazione, a fare dei gran respironi (inspira di naso, espira dalla bocca) ma niente, non riuscivo a correre. Ogni volta che appoggiavo il piede sul tappeto, l’attrito del tallone si espandeva su per il corpo come un sasso lanciato in uno stagno.
Mi sono fermata, sono andata dal trainer e ho chiesto la grazia.
Il trainer ha risposto dicendomi “eccerto è il diaframma” e propinandomi la cura: fartlek di 1 minuto corsa/1 minuto camminata fino a quando non passa.
Come un interruttore, il dolore è passato alla seconda ripetuta e ho ripreso a sperare.
Ho completato i 5 km a fatica, sentendo le gambe di legno già al 5° km.
Avevo intenzione di correre ancora venerdì, ma i metatarsi degli alluci erano infiammati di brutto dalla corsetta di 5 km e ho preferito lasciar perdere.

Nemmeno domenica mattina sapevo se veramente ce l’avrei fatta a correre quei fottuti 10 km.
Mi sono preparata, vestita, truccata (bhè ovvio).
Sono uscita di casa alle 8.30, ho controllato la temperatura: 5°.
Mentre camminavo verso il Parco ho cominciato ad incrociare gli altri come me, altri runner che si preparavano per correre il Trofeo del Sempione. Poi è arrivato: il Celodurismo del Runner.
Quella sensazione di cui parlavo l’anno scorso: quella cosa che senti nella pancia quando esci di casa la domenica mattina presto, incontri lo sguardo dei passanti e degli altri runner e senti che tu sei Migliore.
Sei Migliore per il semplice fatto che sei fuori, alle 8.30 di mattina con 5°.
Sei Migliore perché a rimanere nel letto alla domenica mattina sono capaci tutti, ma quanti sono capaci di trascinarsi fuori dal letto, infilarsi le scarpe e attaccarsi un pettorale?
Sei Migliore perché non aspetti che arrivi l’estate per correre ma corri anche adesso, anche di domenica, anche se hai avuto una settimana di merda.

Ho addosso le scarpe da ginnastica, la divisa d’ordinanza Adidas e un cellulare pronto a spararmi la playlist “Songs to sing in the shower” nelle orecchie.
Presa dall’entusiasmo e gasata a mille mi sono lanciata in qualche volata prima di arrivare in Arena Civica.

Perso l’entusiasmo. Subito.
8 secondi ed ero morta.

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giovedì 5 marzo 2015

Cityrunners 2015: Restituitemi il favore

Con immensa pace e gioia di chi l’anno scorso implorava pietà alla sola vista di un paio di lacci da scarpe da ginnastica, quest’anno nonostante gli allenamenti dei cityrunners siano già ripresi, non ho ancora proferito verbo.
Perché? Perché non sto andando a correre.
Non corro da sola dal 26 dicembre, quando ho fieramente concluso 10 km in quel del Paesello sotto uno splendido sole mattutino.
Dopo quel 26 dicembre sono entrata in una spirale di freddo e gelido inverno, ozio e apatia, depressione e malcontento che mai, nemmeno una volta, sono riuscita a vincere indossando le scarpe da corsa. O in qualche altro modo.
Sono mesi che ormai non metto piede in un negozio di vestiti e insomma, chi mi conosce dovrebbe capire la gravità della cosa.
Dalla parrucchiera nemmeno mi sono fatta un selfie per vantarmi della piega.
Non mi faccio e non mi farei una foto allo specchio manco morta sepolta.
Avevo cominciato gennaio alla grande, avevo pure cominciato a fare i circuiti di allenamento di Kayla Itsines ed ero arrivata, non senza qualche dolore, alla 4a settimana. Avevo pure cominciato a scriverci un post che avrei pubblicato al termine dei 3 mesi.
Poi però, come si è ampiamente capito da Twitter, non ho passato uno splendido periodo a causa anche di quell'adorabile rotto in culo che sta a Londra. Non voglio dire che ora è tutto ok perché dopo le crisi niente è tutto ok, anzi tutto ok un cazzo, ma da qualche parte bisogna sempre ricominciare e rimboccarsi le maniche. Tutte le maratone cominciano al primo km e nessuno ha detto mai che sarebbe stato facile.
Ok quindi perché non corro?
Sono così delusa da me stessa che credo che sia tutto andato in vacca ormai quindi ho questo bruttissimo atteggiamento che se vedo che una cosa è già rovinata non ho più voglia di sistemarla ma la ritengo talmente andata in vacca che la lascio perdere, mi rassegno e mi crogiuolo nel mio malcontento.
Mi pare di aver riassunto abbastanza fedelmente il meccanismo alla base delle diete del Lunedì.
Sarò l’unica? Non sarò l’unica?
A dicembre, quando mi sparavo 10 km in allegria la domenica pomeriggio senza colpo ferire, pensavo “sono una figa perché sono così allenata da non dover temere lo sguardo del coach Rondelli quando ricominceremo a gennaio”.
Invece poi succede che la vita ti sorprende (che figata eh), il mondo crolla, il lavoro ti lega alla sedia fino alle 8 di sera, fuori fa freddo e i carboidrati sono buoni.
Voglio riassumere così gli ultimi 3 mesi.
Ho perso il controllo e sono delusa da me stessa quando fino a poco tempo fa mi ritenevo una fottuta campionessa.
Nel mio piccolo, nel piccolo dei miei 40 mq di casa. Mi guardavo allo specchio ed ero fiera di quello che vedevo.
Ora no.

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lunedì 2 marzo 2015

Oscar 2015 - Quell'anno che erano tutte nude

A tutto si può rinunciare ma non agli Oscar.
Vi ringrazio per la pazienza e per l’attesa, ormai lontani i tempi in cui potevo raccogliere il materiale per i post e pubblicare nel giro di 48 ore.
Le pagelle da red carpet, incredibile a dirsi, in questi 5 anni, sono diventate argomento di discussione un po’ dappertutto e presto mi aspetto di vedere uno speciale “Oscar red carpet” anche durante La Prova del Cuoco.
Una settimana di tempo però mi permette di osservare le panoramiche offerte in quasi tempo reale dagli altri e poter sfrondare l’inutile, l’eccessivo.
Lontani i tempi dei Louis Vuitton di Michelle Williams, i Givenchy di Rooney Mara e Cate Blanchett, i Tom Ford di Gwyneth.
L’effetto “wow” ha lasciato il posto all’effetto “ewww”: Lady Gaga, Scarlett, Solange dico a voi.
Ho raccolto le migliori 10, perché anche volendo, non sono riuscita a trovarne di più.
Partendo dal basso della classifica, al 10° posto troviamo:

10_L’unica, inimitabile, iconica, splendida, inossidabile e inespugnabile MERYL STREEP.

Lanvin

E’ lui, il signor blazer che fa il miracolo: svecchiare l’accoppiata bianco e nero e rendere attuale un abito da sera (forse uno spezzato gonna + blusa) su una splendida 65enne.
Le maniche lunghe nascondono gli avambracci che quando non si è più giovanissime è consigliabile saper celare con maestria. La cintura spezza la colonna dando movimento e delineando le forme.
E’ inutile, Meryl c’è ancora e continuerà a dettar legge per molto tempo a venire. Voto: 8.5

9_JULIANNE MOORE

Chanel

Perché, perché dio mio scegliere Chanel quando potevi avere Tom Ford e passare alla storia?
Perché piegarsi al dominio di Kaiser Karl con un abito che non dice nulla o, se lo dice, lo dice talmente male da doverlo ignorare?
E’ vero, l’ho messa al nono posto delle Best Dressed perché lei è pur sempre Julianne e poteva mettersi anche un Ovs che ci avrebbe convinte lo stesso. Tuttavia avrei preferito qualcosa di più colorato, più vivo, più strutturato, meno pailettato, meno impalato, meno ricamato come un dolce austriaco.  Voto: 7

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domenica 18 gennaio 2015

Golden Pagelle 2015

Che ridere pensare che ci sia gente che effettivamente aspetta le mie pagelle.
Lontani ormai tempi in cui avevo effettivamente il tempo libero per poter tranquillamente raccogliere le immagini, i crediti e cincischiare su Picasa per fare i collage e poi risalvarli su Photoshop e poi infilarmi una ramazza nel culo e dare una pulita alla cucina.
Ormai se svango la giornata in ufficio, mi trascino in palestra e poi rotolo a casa è già un successo se riesco a prepararmi la cena e a non nutrirmi di sole gallette di mais.
Ma l’Awards Season incombe su di noi come una falce e non posso esimermi ormai da quei 3 dico 3 appuntamenti annuali.

La vincitrice della serata l’ho già anticipata su Twitter, finalmente Valli ha capito che vestire Lena Dunham non offriva un buon trade-off in termini di immagine e il bisogno viscerale di Lena di farsi notare a tutti i costi, al pari solo della necessità di forarsi entrambi i timpani con un cotton fioc (spoiler), non giovava per nulla alla brand awareness tanto sudata in questi anni da couturier italiano prestato alla Francia.

Amal Clooney  - Dior Couture; Jessica Chastain - Atelier Versace

Cominciamo con la più chiacchierata della serata, il matrimonio più festeggiato dell’anno (scorso), l’eterosessualità più falsa di Hollywood: la signora Clooney.
Non nascondo di far parte anche io di quel mucchio di complottisti che vedono nel turnover regolare di fidanzate completamente randomiche di George la copertura di qualcosa che non sarebbe nemmeno necessario nascondere (è gay), anche perché se non si muovono i pezzi grossi di Hollywood per cambiare il sistema con che speranza un ragazzo normale dovrebbe fare coming out? Ma vabbhé, loro sono a Hollywood io a Milano e i gay governano la città quindi sono l’ultima proprio che può parlare di omofobia.
Non sono una fan di Amal: per me lei non ha stile e credo che la sua immagine sia tutto fuorché spontanea. Credo che tutte le sue uscite siano studiate a tavolino per piacere ad un certo tipo di pubblico (ragazze cielline e signore attempate) e che ogni calzino che indossa sia stato accuratamente scelto da una stylist. Ce la stiamo subendo come first lady ancora prima che diventi first lady (si dice che tutta questa messinscena di George abbia come scopo la carriera politica). Il super falso matrimonio a Venezia coronato dall’ultimo abito uscito dalle mani di de la Renta (american flag alert), l’abito di Valli per salire sul motoscafo, il completo bianco per la cerimonia civile mi sono sembrati i 3 cambi d’abito di Barbie Goes White House.
Ma vediamo com’è andata:
Richiesta: prima uscita ufficiale da signora Clooney.
Svolgimento: Un sottile richiamo all’estetica anni 50/60 di Audrey Hepburn, un colpo di telefono al signor Dior e vinci facile.
Giudizio: 6
Nelle infinite possibilità che il mondo offre, nel panorama di stimoli creativi che si possono dare ad un atelier, perché ripercorrere una strada fin troppo battuta e consumata?
I capelli hanno rovinato buona parte dell’abito (avrebbero dovuto essere raccolti) e potendo scegliere, con quella carnagione, qualsiasi colore caldo (sunset orange, come direbbe Victoria) le avrebbe fatto di certo un favore. I guanti poi: inutili, eccessivi e fuori luogo. Mi sono sembrati il capriccio di una bambina che non vuole andare a scuola se non indossa la sua coroncina di brillantini.

Jessica Chastain è una delle mie BFF prefe.
Qua di nuovo si strizza l’occhio alla vecchia Hollywood, con un taglio d’abito che allargherebbe i fianchi al palo del Mocio Vileda. Il problema di Jessica è che dopo quel meraviglioso McQueen non l’ho mai più vista con qualcosa di vera-veramente flattering.
Io stessa non ho capito con che colori sta bene. Avendo i capelli rossi dovrebbe giocare con i colori complementari dell’arancio e infatti mica per niente la campagna YSL ha giocato proprio sul viola.
Oppure con i cipriati, ma probabilmente per il genere di donna e di ruoli che finora ha scelto non vuole rischiare l’effetto Young Taylor Swift.  Voto: 7

Laura Prepon – Christian Siriano; Patricia Arquette – Escada; Lorde – Narciso Rodriguez


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