lunedì 28 novembre 2016

Guida ai lavori della moda

A furor di popolo in quel di Snapchat pare che in tante vogliate sapere “come lavorare nella moda”. Ho ricevuto mail, messaggi, richieste d’aiuto di ogni tipo.
Io vi ringrazio ma temo di non poter dare una risposta unica, esauriente e soddisfacente ad una domanda del genere.
Perché?
Partiamo da un assunto di base: la moda è “solo” un tipo d’industria.
E’ un’industria come quella automobilistica, quella alimentare o quella farmaceutica.
Vi prego, se dobbiamo parlare, rimaniamo con i piedi per terra.
Niente “oddio la moda, come sei fortunata” e niente “ci sono un milione di ragazze che ucciderebbero per quel posto”.
Lavorare nella moda non corrisponde a una sacra unzione, non si è degli eletti.
E lo dico consapevole del fatto che in 4° (e 5°) elementare mi firmavo “Lucia Zuliani la Stilista” su tutti i figurini che disegnavo e regalavo alle mie amiche.
“La moda” innanzitutto non è una professione. Spesso, per cercare di spiegare che lavoro faccio a chi è a digiuno dei lavori nati negli ultimi 30 anni, mi ritrovo a dire “lavoro nella Moda” così il mio interlocutore capisce una cosa simile a “lavoro in ospedale” e non va oltre.
A causa di questo, qualche anno fa, al mio Paesello c’era gente che pensava che io facessi o la modellahahaha o la stilistahahahah!


Perché la moda, grazie all’aura di prestigio (che fa essa stessa parte della sua definizione) di cui è circondata, sembra tutto e niente.
Moda è il giornale con la copertina patinata che leggi dalla parrucchiera.
Moda è le sfilate couture a Parigi.
Moda è Guillermo Mariotto che fa il giudice a Ballando con le Stelle.
Moda è la fashion week di Milano.
Moda è Enzo Miccio che da consigli di stile.
Moda è la campagna vendita delle pre-collezioni che ti fa il 70% del fatturato.
Moda è Mariella Milani che commenta le sfilate da Tg2 Costume & Società.
Potrei andare avanti all’infinito.
Credo che quasi tutti tra voi che mi leggete avrete pensato o sentito dire da qualcuno (magari anche anziano) una delle frasi qua sopra.
La moda spesso sembra fumo negli occhi e per questo purtroppo, soprattutto in Italia, non viene considerata alla stregua di quello che è (un industria che fattura miliardi) ma solo un argomento poco serio, a tratti frivolo.
Non so se esiste già qualcosa del genere in rete, a giudicare da quante persone me l’hanno chiesto pare di no.
Ecco quindi un overview generale di quelle che sono le professioni più generalmente coinvolte in un’azienda di moda.


LO STILE / UFFICIO STILE / DIREZIONE CREATIVA / UFFICIO CREATIVO / BRAND IMAGE / UFFICIO PRODOTTO

Sono le persone che si occupano del prodotto dal punto di vista creativo.
In un ufficio stile ci sono ragazzi e ragazze che disegnano il prodotto, le stampe o le grafiche sotto la guida del direttore creativo.
Sono solitamente persone che hanno studiato moda (allo IED, alla Marangoni, alla Central St. Martin, alla Naba, alle Accademie delle Belle Arti etc).
E’ loro compito disegnare la collezione sulla base del briefing di collezione ricevuto e seguendo l’ispirazione di collezione stabilita, sviluppando i temi su tutte le categorie merceologiche e cercando di soddisfare tutte le fasce prezzo del mercato (fascia alta, media, bassa).
L’ufficio prodotto si interfaccia in continuazione con lo Stile poiché si occupano insieme (a seconda delle aziende) della creazione dei sample e dell’aderenza dei campioni rispetto alle richieste.
Si accordano con i fornitori (nel caso la produzione fosse esterna) o lavorano direttamente in produzione per realizzare i prototipi che poi verranno usati nella campagna vendita per vendere la collezione ai clienti.
Calcolano il costo di produzione degli articoli e questi calcoli sono necessari per stimare la produzione totale e accordarsi sul prezzo (che poi, a cascata, contribuisce alla formazione del prezzo di vendita finale).

IL MERCHANDISING / UFFICIO MERCHANDISING / BRAND MANAGER / RETAIL MERCHANDISING / MERCHANDISING PLANNER / MERCHANDISING DI COLLEZIONE

Il merchandising è uno dei ruoli più complessi nella moda, per lo meno nella mia esperienza.
E’ un dipartimento “chiave” poiché mette in collegamento le necessità commerciali della forza vendita (sia essa una rete retail di proprietà, che una rete di clienti wholesale, retail partner o, mi preme dirlo, dell’e-commerce) con la direzione creativa dello Stile.
Sempre per quello che ho visto io e limitatamente alla mia esperienza, il Merchandising solitamente si divide tra merchandising di collezione (o di prodotto) e retail merchandising (o planner).
Possono essere due dipartimenti distinti o no, dipende dalle aziende.
Il Merch di collezione è il dipartimento che si occupa di stilare i briefing di collezione sulla base dei dati di venduto della contro-stagione precedente (se stanno scrivendo il briefing della SS17 lo fanno sui dati di venduto della SS16 e magari anche SS15 ma non con i dati della FW16 o FW15).
Non ho mai visto un brief di collezione ma suppongo che riporti quali sono i temi, nelle collezioni precedenti, che hanno performato meglio (il turkish biker, il canadian check, lo skater california etc) su quali categorie (vestiti, denim, t-shirt, cappotti, scarpe) e divisi per fasce prezzo (primo prezzo, la fascia più bassa o premium price, la fascia più alta magari anche con il dato di venduto prima e dopo i saldi).
Probabile che si stabilisca anche un certo numero di SKU da sviluppare per categoria (una SKU è l’unità di  misura della collezione: corrisponde al modello+materiale+colore. Se lo stesso capo è sviluppato nello stesso materiale in due colori diversi = 2 SKU, se un modello è sviluppato con due materiali diversi ma nello stesso colore = 2 SKU).
Il briefing di collezione viene sviluppato anche facendo una ricerca di mercato e confrontando la propria offerta con quella dei competitor e con chi, in quel momento, sta spiccando nel mercato anche se non diretto competitor.
Vanno consultati, credo, i quaderni di tendenze e i siti che danno indicazioni sui trend a livello mondiale (sui tessuti, i colori, gli stili etc) e comunque va sviluppato un certo intuito per capire “dove sta andando il mercato” nel lungo periodo. Non è semplice perché, non si tratta di prevedere cosa andrà di moda la prossima estate. Si tratta di capire cosa andrà di moda l’inverno del prossimo anno, quando tu sei ancora alla fine dell’estate. Il tutto, cercando di mantenere l’identità del brand o di rispettare la sua “eredità” per i brand storici.
Dopo aver stilato il briefing di collezione e averlo presentato allo stile, si preoccupa che esso venga rispettato: che tutte le categorie merceologiche più performanti siano coperte con un’adeguata offerta, che siano coerenti tra di loro e che – magari- permettano anche la creazione di gruppi di prodotti cross-temi.
Una volta realizzato il campionario, insieme all’Ufficio Prodotto (o Produzione) si definiscono i prezzi (in tutte le valute) e si ultima la Presentazione Tecnica di collezione e la lista dei Must Have.
La Presentazione Tecnica è un momento molto importante perché il momento in cui la collezione “debutta” davanti al personale dell’azienda: buyer retail, store manager, venditori, direttore commerciali, direttori retail, merchandising, prodotto, stile, comunicazione, digital. Tutta l’azienda (la parte che si occupa di vendere il prodotto) assiste mentre la direzione creativa (o il merchandising o il prodotto, sempre a seconda delle aziende) spiega tema per tema ogni pezzo della collezione enunciando caratteristiche tecniche e di lavorazione. Tutte informazioni che vanno assimiliate per lo svolgimento successivo del proprio lavoro: i buyer perché devono acquistare la collezione per assortire i negozi, gli store manager perché dovranno saper vendere quella collezione ai clienti finali, i venditori perché dovranno vendere la collezione ai clienti commerciali (i proprietari dei negozi multimarca, i department store etc), il prodotto e lo stile devono conoscere i feedback per poter eventualmente porre delle modifiche o creare dei prodotti lievemente diversi per soddisfare delle esigenze commerciali (le cosiddette “aperture”: es. si richiede l’apertura di una camicia presente in collezione ma in popeline anziché in seta, perché il popeline costa meno), la comunicazione perché dovranno trovare i giornali giusti per poterla comunicare, organizzare la campagna  pubblicitaria, suggerire servizi redazionali e proporre la collezione ai giornali per vederla pubblicata il più possibile, il digital perché deve acquistare la collezione per il negozio online ma allo stesso modo anche deve comunicarla attraverso i social e fare in modo che se ne parli nei luoghi giusti e dalle persone giuste.
I Must Have infine sono i pezzi più importante della collezione e che meglio rappresentano l’idea creativa per i quali si invita “caldamente” all’acquisto: l’invito è ovviamente rivolto sia all’interno (negozi retail e online dell’azienda) che all’esterno (clienti commerciali, multimarca, department store, retail partner etc). Sono i pezzi più importanti e più identificativi della collezione e dal punto di vista del branding è importante che siano presenti nei negozi per dimostrare che per l’azienda sono importanti. Possono essere dei pezzi di sfilata particolarmente elaborati e quindi molto costosi che, il piccolo negozio di provincia che vende magari solamente sneakers non può permettersi.
Ovviamente i must have vengono indicati e si fa il possibile per poterli introdurre nel maggior numero di punti vendita (essendo solitamente pezzi costosi più se ne vendono, più se ne beneficia a livello di costi di produzione per l’effetto dell’economia di scala), ma ovviamente sta alla capacità del personale di vendita commerciale capire come e quanto insistere caso per caso e cliente per cliente (ovviamente il capo couture da 16.000 € non ha senso che sia presente nella vetrina del negozio della provincia di Caltanissetta perché, molto probabilmente, non ha nemmeno molte possibilità di essere venduto. Invece ha senso che venga acquistato dal retail partner in Arabia Saudita perché la clientela è completamente diversa).
  
Il retail merchandising (o planner) invece ha un ruolo più analitico in quanto supporta il lavoro del merchandising con tutte le analisi necessarie.
Il retail merch, a seconda delle aziende, può occuparsi anche della redazione degli OTB (Open To Buy) e cioè del documento che, partendo dagli obiettivi di fatturato che si vogliono raggiungere, determina categoria per categoria, stagione per stagione, linea per linea e collezione per collezione (ci sono almeno 2 collezioni per ogni stagione) quanti articoli vanno acquistati, a pezzi e a valore.
Vengono stabiliti degli obiettivi di ST (Sell Through=quanto hai venduto rispetto a quanto hai acquistato/consegnato/pubblicato) (magari anche prima e dopo i saldi oppure una media di questi due dati) e sulla base di quello si fanno successivamente gli acquisti in showroom durante la campagna vendite.
I planner però, sempre a seconda delle aziende, possono anche essere le persone che garantiscono la corretta copertura dell’assortimento dei negozi, soprattutto per chi ha una buona % del venduto di carry over (cioè articoli che di stagione in stagione non cambiano mai: ad esempio la borsa 3 tasche in saffiano di Prada, la piccola pelletteria in pelle intrecciata di Bottega Veneta, le Miss Sicily di Dolce e Gabbana o le Rock Stud di Valentino). Si interfacciano con i buyer, con la produzione e con le operations.
I report dei planner poi alimentano tutto il lavoro del merchandising in generale poiché senza capire, nel dettaglio, come si sta vendendo un determinato prodotto, non si potrà mai capire perché sta vendendo bene o male ed eventualmente correggere il tiro.

 Da Product & Brand Management, MaFash, Bocconi

RETAIL / BUYER / STOCK ALLOCATOR / OPERATIONS / VISUAL MERCHANDISING

Il retail, come detto sopra, è l’insieme dei negozi di proprietà dell’azienda (i cosiddetti DOS).
Rappresenta solitamente il canale distributivo più importante.
La maggior parte dei brand di moda possiede una rete retail poiché è la maniera più sicura di poter controllare la distribuzione e l’immagine del Brand nel mondo.
Si tende a considerare l’apertura del primo negozio di proprietà sempre come una tappa molto importante nella vita di un’azienda di moda poiché rappresenta il punto vendita migliore e il più aderente, in tutto e per tutto, alla visione aziendale: dall’arredamento, all’assortimento, alla posizione, alla scelta del personale e addirittura le uniformi del personale, tutto è scelto con la massima cura per essere coerente con l’immagine di marca.
In un negozio monomarca è ovviamente impossibile trovare prodotto non originale e l’allestimento segue quella che è l’immagine stilistica del Brand. I capi sono disposti sulle mensole, sui manichini, sulle pareti secondo i temi di collezione (sviluppati dallo Stile) e con l’assortimento previsto dai buyer. Nulla è lasciato al caso, nessuna camicia è casualmente posta al fianco di un paio di pantaloni. Quella camicia e quel pantalone insieme rappresentano come il Brand vuole che si vedano ergo, come vuole che vengano indossati.
Se ci fate caso, ultimamente lo fa anche Zara: espone una camicia ma, sul primo appendino dell’espositore, sopra si trova anche la giacca che meglio si abbina. E se abbassate lo sguardo, vedrete anche le scarpe per completare il look. Quello è il modo di Zara per vendervi il “total look” (o fare up-selling: entri con l’intento di comprare un pezzo e finisci a comprarne 3).
Le vetrine che vedete nei negozi sono pianificate con mesi di anticipo dai visual merchandiser che hanno lavorato con i buyer per sapere esattamente in che mesi vengono consegnati quali articoli, per poter immaginare, creare e preparare le vetrine dei mesi successivi.
Ogni negozio ovviamente ha del personale di vendita che avrà ruoli suddivisi per anzianità ma, spesso, anche per gender (il venditore che segue l’abbigliamento uomo e il venditore che segue l’abbigliamento donna, oppure quello specifico per la pelletteria o per gli occhiali). Ogni negozio ha uno store manager che è il direttore del negozio che segue degli obiettivi di venduto (giornalieri, settimanali, stagionali e così via) e coordina il personale e tutte le problematiche del negozio in collegmento con l’headquarter (retail manager, customer relationship manager, operations manager, risorse umane etc). Ogni negozio poi può essere organizzato diversamente a seconda dell’azienda.
Il personale del negozio è il primo punto di contatto tra il cliente finale e il Brand quindi è molto importante: per questo spesso le aziende stabiliscono dei veri e propri codici di comportamento da seguire durante le ore in negozio (ad esempio: dare sempre del Lei, non approcciare il cliente immediatamente appena entra, offrire thè e pasticcini o champagne a seconda della clientela etc) oltre che alla cosidetta “divisa” da indossare. La “divisa” ovviamente è fornita dall’azienda e può cambiare stagione per stagione o rimanere uguale. E’ uguale (solitamente) in tutti i punti vendita del Brand nel mondo e consente al cliente che frequenta il negozio di Hong Kong di sentirsi “a casa” anche nel negozio di Parigi poiché al suo varcare la porta vedrà –quasi- esattamente le stesse cose.
Spesso l’idea che ci si fa di un Brand è influenzata dall’esperienza in negozio e viceversa. Ovviamente se una sarà positiva, il Brand non potrà che beneficiarne. Al contrario se in boutique ci si sente snobbati, trattati con arroganza o con sufficienza, l’azienda non avrà che da rimetterci.


Il personale delle boutique periodicamente assiste alle Presentazioni Tecniche di collezione e con i feedback raccolti in negozio aiuta i buyer a stilare gli ordini per ogni punto vendita.
Ovviamente il negozio a Dubai avrà esigenze diverse del negozio di Madrid, così come il negozio di Los Angeles avrà necessità diverse del negozio di Tokyo.
Per questo il personale in negozio è così importante, perché è il primo anello della catena.
Tra le attività dello store manager e del personale di vendita c’è anche quello di crearsi un buon portafoglio clienti (ormai non si dice più “commesso” ma “shop assistant” o venditore. Ma non voglio creare confusione poiché per me il venditore è il personale dello showroom, non quello del negozio).
Bisogna essere pazienti (come in tutte le professioni che hanno a che fare con il pubblico) ed empatici: in grado di stabilire una buona connessione con il cliente per capire come, cosa e quanto vuole comprare senza essere invadente. Bisogna essere preparati sul prodotto (ma è dovere dell’azienda ovviamente formare il proprio personale) per non risultare impreparati agli occhi del cliente (quando succede può essere valutato molto negativamente) che magari è un brand lover e ne sa a pacchi. Altre volte invece il cliente è solo un miliardario che nulla sa e nulla vuole sapere della storia delle capre tibetane nella riserva naturale dalla quale proviene il cashmere del maglione che sta indossando, magari vuole solo comprare un maglione di cachemire molto ma molto costoso. Insomma capire la persona che si ha davanti, farla sentire a proprio agio, instaurare una “relazione” (CRM) e farla crescere. Ogni brand può possedere un manuale (scritto o non scritto) di azioni da intraprendere per ottimizzare la relazione con il cliente: telefonate, regali di compleanno, cocktail in negozio, sfilate private, ordini personali, pre-ordini etc etc.

Il buyer è la persona che si occupa di formulare gli ordini e assortire i negozi di proprietà dell’azienda.
Ovviamente anche questo ruolo si interfaccia in continuazione con tutti gli altri ruoli finora menzionati, in maniera diretta o indiretta.
Il buyer può essere dedicato a un’area geografica (EMEA o APAC o solo Italia, o Francia o Cina) o ad un gender (uomo, donna o bambino) o a una categoria merceologica (pelletteria o ready to wear) o a tutto quanto elencato, nel caso di realtà più contenute.
E’ utile avere buona memoria (ricordarsi cosa si è acquistato 3 mesi prima, articolo per articolo, materiale per materiale), buona conoscenza del prodotto e buona sensibilità di vendita. Bisogna capire, prendendo in mano una borsa, se questa venderà, in quali e quanti mercati. Bisogna avere intuito ma anche preparazione. Bisogna tener conto dei feedback degli store manager (es. a Parigi la clientela donna è di età media più alta che a Los Angeles, quindi per il negozio di Parigi si dovranno acquistare meno abiti corti che per la boutique di Los Angeles, oppure quel mocassino in testa di moro l’anno scorso non l’abbiamo venduto perché volevano tutti quello nero, quest’anno ne compriamo di più di neri) e saper leggere i report del venduto.
Bisogna compilare gli ordini in accordo con l’OTB approvato e monitorare giorno per giorno l’andamento dei negozi facendo attenzione alle rotture di stock (quando una taglia va sold out) e procedendo a mano a mano con i riassortimenti. A seconda delle aziende poi, provvede a formare il personale di vendita fornendo gli strumenti necessari per conoscere e vendere il prodotto. Soprattutto quest’ultima parte può essere seguita anche dal merchandising.
Periodicamente visita i negozi per vedere che genere di persone entrano in negozio o che genere di richieste fanno e per raccogliere i feedback degli store manager e del personale di vendita.
Verifica che i negozi ricevano la merce secondo le scadenze prestabilite (stock allocator) e che lo spazio del negozio sia adeguatamente sfruttato (ogni mq del negozio deve produrre fatturato, maggiore è lo spazio dedicato al magazzino maggiore sarà lo spazio che non produce direttamente fatturato).
Il visual merchandiser, insieme al buyer, trova la maniera per valorizzare al meglio tutte le categorie merceologiche che costituiscono l’offerta (es. espositori per i gioielli, per i foulard, appendini sui quali non scivolino i vestiti, velluto per far brillare i gioielli e così via) e studiano come creare le vetrine per fare in modo che siano coerenti con l’immagine del brand e la collezione della stagione.
Le Operations, ammetto che non mi sono molto chiare, ma è una funzione che si occupa di fare in modo che i negozi abbiano tutto il necessario per lavorare: soprattutto in una nuova apertura, deve occuparsi di tutto quello che serve a popolare un negozio a partire da 0. Dal registratore di cassa, al personale di vendita, ai lavori di allestimento, fino all’assortimento delle shopping bag e dello scotch.
In certe aziende, invece, le operations si occupano anche degli ordini speciali dei clienti (gli ordini custom) e chissà quante altre cose CHE NON SO.

UFFICIO WHOLESALE / COMMERCIALE / SHOWROOM COORDINATOR / SALES MANAGER / VENDITORI

Il wholesale (o Commerciale) è il dipartimento che si occupa di vendere la collezione a chi poi la venderà ai clienti finali (negozi multimarca online e offline, department stores).
Il suo lavoro si svolge in showroom dove la collezione è esposta almeno 4 volte all’anno (pre-collezione e sfilata per SS e pre-collezione e sfilata per FW). Ma possono esserci ulteriori uscite di collezione durante l’anno oltre a queste. I venditori sono spesso personale stagionale che lavorano cioè solo durante una campagna vendita: l’ufficio commerciale (o lo showroom coordinator) raccoglie gli appuntamenti dei clienti e li organizza sull’agenda e poi assegna gli appuntamenti ai vari venditori calcolando tempo e spazi per ognuno. Le campagne vendite sono diverse all’anno: per esempio ora a novembre si sta acquistando la pre-collezione FW 2017. Poi a gennaio/febbraio si acquisterà la main collection FW17 ma per un’overview più generale vi consiglio di consultare Modem.
Per fare in modo che la collezione venga venduta al meglio è necessario che questa sia disposta secondo le linee guida dei visual merchandiser che dapprima allestiranno lo showroom e poi passeranno periodicamente a controllare che tutto sia disposto correttamente secondo le loro linee guida (oppure il personale dello showroom utilizza degli strumenti come presentazioni stampate o rendering grafici o fotografie per riordinare lo showroom come da indicazioni).
In showroom è necessario che ci siano alcuni modelli/modelle per far indossare il campionario della collezione davanti ai clienti per meglio capire la vestibilità e il fit dei capi. Le vestiariste (o vestieriste) sono le ragazze che vestono e svestono i modelli/e nei camerini tra un cambio e l’altro.
Il venditore deve conoscere bene la collezione e le sue caratteristiche tecniche (che avrà imparato durante la presentazione tecnica) e cercare di vendere il più possibile, magari spiegando i temi di collezione e i must have.
I ruoli strategici (come il direttore commerciale, il sales manager) come per il retail possono essere divisi per area geografica o per linea o per gender o per nessuna di queste ed essere responsabile di tutto, nel caso di realtà più piccole. Le figure chiave spesso, quando non si è in campagna vendita, visitano i negozi dei clienti per coltivare la relazione, per sentire i loro problemi (es. hanno comprato un accessorio particolare che non sanno come esporre) ma anche per monitorare come il prodotto viene esposto, quali altri brand sono presenti, come vengono valorizzati, che tipo di clientela, in che zona della città è inserito e così via.
Lavorare in showroom commerciale aiuta a conoscere le realtà dei negozi, a conoscere approfonditamente la collezione e a capirne gli spunti per la vendita.

COMUNICAZIONE / PRESS OFFICE / DIGITAL

Anche per quest’area le cose possono variare parecchio da azienda a azienda.
La comunicazione, in senso lato, si occupa di come diffondere la Brand image verso l’esterno.
Gli strumenti che ha a disposizione sono le campagne (non intendo le campagne con i girasoli e i campi di grano, ma le cosiddette campagne stampa o campagne advertising), le sfilate, la collezione e il network.
Il network è l’insieme di conoscenze che solitamente il direttore della comunicazione è in grado di instaurare con l’esterno: è un insieme di personaggi di varia natura (dello spettacolo, dell’arte, dello sport, dell’imprenditoria, della musica o stylist, giornaliste, pr, direttori di giornali, politici e chi più ne ha più ne metta) che costituiscono il terreno fertile sul quale far germogliare ogni iniziativa.
L’ufficio comunicazione organizza in tutto e per tutto la sfilata a partire dal budget fino al colore degli inviti. Si occupa del piano di sicurezza degli operai che allestiscono la location ma anche di fare in modo che la blogger X non si sieda accanto alla blogger Y perché si odiano. Si occupa di scegliere chi invitare e di decidere come vestirlo. Si occupa sia di contattare il dj che creerà la playlist della sfilata che di stilare i contratti del regista. Si occupa di organizzare il catering per le modelle ma anche della redazione del call-sheet con gli orari e i ruoli di ogni persona necessaria in location. Oltre alla sfilata c’è quindi anche la campagna stampa, e dopo la campagna c’è da pianificare dove “venderla” (il cosidetto media plan), su quali giornali, in che mesi e su che pagine. Si occupa di contattare le redazioni, di incontrare personalmente giornalisti e stylist e presenta la collezione per fare in modo che questa venga usata per qualche servizio redazionale sulle riviste o indossata da qualche personaggio in qualche evento particolare.
Si occupa di mantenere sane e proficue collaborazioni con tutti ed è quindi necessario essere persone molto capaci di adeguarsi al proprio interlocutore. La classica faccia di bronzo, insomma. Serve parecchio pelo sullo stomaco ed essere in grado di mantenere spesso delle relazioni anche solo di facciata, pur di non rovinare i rapporti tra l’azienda e un’importante rivista o un’importante stylist.
Sarà forse a causa del mio carattere piuttosto introverso ma trovo che la Comunicazione, il Press Office o la PR siano i lavori più difficili del settore: devi sorridere e trovare simpatica magari la giornalista più spocchiosa e snob che tu abbia mai visto, ma magari è potente e ben inserita in un contesto importante e non puoi risponderle come personalmente pensi che sia adeguato, ma devi pensare sempre cercando di ottimizzare la relazione ai fini dell’azienda, mandando giù, spesso, rospi più grossi di una casa.


La Comunicazione coordina quindi la sfilata, la campagna, redige le rassegne stampa (l’insieme degli articoli usciti su una determinata collezione in un determinato periodo), organizza cocktail, eventi e mantiene relazioni coccola giornalisti, personaggi e celebrities per fare in modo che il Brand venga rappresentato nei modi e nei luoghi più adatti. Gestisce il campionario in entrata e in uscita, controlla il budget, stipula contratti con testimonial, si coordina con lo stile o il merchandising nel caso di celebrities che richiedono (o ai quali si offre) la creazione di pezzi speciali.
Spesso il dipartimento della Comunicazione si occupa anche dei nuovi canali digital anche se questo può variare da azienda a azienda.
Ci sono aziende che credono nel digital e quindi investono tempo e risorse nello sviluppo di tutto ciò che è digitale (dal canali social, all’e-commerce, all’omnichannel, alle relazioni con blogger/influencer etc) e aziende che invece su questo piano sono ancora un po’ indietro.
Ovviamente ogni azienda stabilisce quali sono le proprie priorità e si può essere come Chanel che vanta un‘ottima presenza sui social, che è ben inserito con le influencer ma che rifiuta ancora il mondo dell’e-commerce, oppure essere come Burberry che è stato il primo a lanciare il pre-ordine online immediatamente dopo la sfilata e che è stato pure il primo ad annunciare una sfilata “see now-buy now”, oppure essere come Moschino che già da qualche anno lancia in corrispondenza della sfilata una piccola capsule di articoli immediatamente in vendita sul proprio sito e-commerce.
Come vedete gli approcci sono diversi e molteplici: ogni azienda ragiona con le proprie leve di marketing e ha una visione diversa, un prodotto diverso e valori diversi.
La composizione dell’ufficio digital è quella che, tra quelle elencate oggi può più variare da azienda a azienda.
In un ufficio digital possono esserci: uno o più social media manager, il digital pr (che si occupa delle relazioni con le testate online, blogger e influencer e tutto ciò che non è carta stampata), il web marketing, l’e-commerce manager, il copywriter, il grafico, il photo coordinator, il buyer, lo stylist.
Oppure alcuni di questi ruoli potrebbero essere compresi sotto altri dipartimenti (l’e-commerce manager e il buyer nel retail, il social media, digital pr e copywriter nella comunicazione etc), molto dipende dall’approccio dell’azienda e dalle competenze delle persone a capo dei dipartimenti.

Ovviamente tutte queste funzioni che ho elencato le ho spiegate dal punto di vista di un’azienda di moda ma esistono, in modalità simili, anche per realtà più piccole e diverse.
Mi spiego: il buyer non esiste solo dedicato al retail ma anche il negozio multimarca può avere un buyer.
Anzi, nelle realtà molto piccole, spesso il proprietario del negozio è anche store manager ed è anche buyer.
Ovvio che qui parliamo di realtà totalmente diverse da quelle di lavorare in un brand ma le dinamiche sono le stesse, solo che magari si aggiungono le Fiere.

Come avete visto dalla panoramica che ho preparato, esistono diversi ruoli ma il fine ultimo di tutto, dal primo stilista all’ultimo commesso, è vendere.
Il social media manager posta la foto del sandalo indossato dalla celebrity per fare in modo che l’utente medio la veda e decida di acquistarlo per poter sentire di assomigliare alla celebrity e/o far parte del mondo di valori di quel brand.
L’e-commerce manager crea un piano commerciale cercando di comunicare tutti i temi di collezione ma anche spingendo i best seller e suggerendo l’up-selling o trovando la maniera di smuovere gli slow-sellers.
 La Comunicazione contatta e organizza una campagna ADV con il fotografo hipster o con la modella del momento per fare in modo che si abbia più visibilità, cioè se ne parli, cioè la gente cerchi il prodotto, trovi il prodotto, compri il prodotto.
Il retail insieme agli architetti studiano il piano di vendita trovando i moduli e i materiali che meglio si identificano con il brand e valorizzano il prodotto, studiano un percorso all’interno del negozio che consenta di vedere più prodotto possibile e di subire più stimoli possibili perché più prodotto vedi, più possibilità ci sono che tu trovi qualcosa che ti piaccia e quindi, compri.
Non voglio togliere magia al settore, rimango pur sempre quella che dalla 4° elementare si firmava come “la stilista” e sono finita a fare l’e-commerce manager.

Mi sono limitata ad elencare le funzioni principali che caratterizzano l’industria della moda ma ci sono ovviamente anche tutta una serie di funzioni orizzontali che servono tutti i dipartimenti e che sono comuni a tutte le aziende: l’amministrazione, il controllo di gestione, il finance, l’ufficio legale, gli architetti (chi ce li ha interni, chi si avvale di uno studio esterno), la tecnologia, i servizi generali…
Io spero che leggere queste lunghe 8 pagine vi abbiano aiutato a capire perché, quando mi chiedete se vale o non vale la pena il corso alla Marangoni, io non so come rispondervi.
Perché i ruoli sono talmente tanti e molteplici e con mille sfaccettature e ognuno connesso con l’altro che è impossibile per me dirvi se il corso di fashion styling può “aiutarvi” ad entrare nel mondo della moda.
L’unica area per la quale mi sento di dire che serve una preparazione tecnica e offerta solo da un certo tipo di scuole è quella stilistica e grafica: se uno non sa usare Photoshop o Illustrator o uno di quei programmi di grafica che usano per sviluppare stampe e cartamodelli, non vedo come possa presentare un portfolio e sperare di essere assunto.
Per tutti gli altri ruoli possono aiutare background umanistici (nel caso della comunicazione) o economici (nel caso dei ruoli commerciali).
Ma niente e nessuno impedirà ad un laureato in filosofia di diventare direttore wholesale.
Insomma, non voglio dire che nell’industria della moda non serve una preparazione specifica, piuttosto che serve individuare la propria attitudine e svilupparla di conseguenza.
Ma questo non vale solo per la moda, vale per ogni cosa.
Come ho detto più sopra, se una persona è timida e non si sente a proprio agio ad attaccare bottone con gli sconosciuti, difficilmente si troverà a proprio agio in un ufficio comunicazione quando chiamerà un giornalista per proporre qualche redazionale. Oppure invece può trovarsi a suo agio nel gestire i movimenti del campionario in ingresso e uscita dalle redazioni.
Una persona che sente di non avere particolare dimestichezza con i numeri è meglio che non si cimenti a fare la retail planner. Invece se uno è in grado di stordire con le parole anche una lampada a parete, potrebbe cimentarsi con qualsiasi ruolo di vendita.
Insomma il mio consiglio è di capire qual è la vostra attitudine personale. Ahahah, rido perché a 33 anni io non credo di avere ancora ben a fuoco la mia. Però senz’altro so che a me piace avere a che fare con il prodotto, provo una certa soddisfazione a venderlo ma sono sicura che ho ancora molto da imparare.
So che non sarei in grado di lavorare in un negozio e di sorridere tutto il giorno ma mi piace coordinare tutte le azioni necessarie per gestire un negozio online che, nel suo piccolo, contiene quasi tutti i dipartimenti sopra menzionati.

5562 parole più tardi spero di avervi chiarito le idee e si suggerisco, prima di investire 30K € in un master in fashion styling o in brand management di capire cosa vi piacerebbe fare.
Cominciate a pucciare il piede: partite dai negozi, lavorate come assistenti di vendita o come vestiariste in showroom in una campagna vendita.
Date un’occhiata ai corsi online: ce ne sono diversi e vi possono dare magari una visione più approfondita di quella che vi ho dato io (ad esempio Coursera o Business of Fashion).
Le strade per entrare in uno o un altro dipartimento sono diverse e mai uguali. Il mio percorso è stato questo ma una persona con la mia stessa preparazione è finita a lavorare da un commercialista, un’altra fa la giornalista, un’altra fa la stylist. Allo stesso modo, chi fa il mio stesso lavoro, magari prima ha lavorato in in Vodafone o in Ebay. In Italia purtroppo è raro ma in alcune grandi aziende esiste la carriera orizzontale: le risorse umane studiano percorsi per sfruttare le attitudini e le conoscenze dei propri dipendenti consentendo di conoscere realtà e dipartimenti diversi arricchendo il profilo di sfumature di più ampio spettro.

Se qualcuno del settore poi crede che abbia raccontato le cose in maniera sbagliata o vuole aggiungere qualcosa, sentitevi liberi di scriverlo nei commenti.
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14 commenti

  1. vabbè, sei una grande. Posto che il tema "industria della moda" mi interessa relativamente (in compenso impazzisco per l'arredamento), avercene di persone che si prodigano con una tale mole di informazioni e consigli! Grazie! Evviva la Zit!

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  2. Post di una completezza ammirabile... potresti anche disquisire di detersivi e ti leggerei rapita comunque....!evviva la Zit stilista!

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  3. Ciao! Chi fa Operations si occupa soprattutto di fare in modo che la merce venga prodotta nelle quantità e nei tempi stabiliti, e non da ultimo che arrivi ai negozi (lavorando insieme ad altre aree aziendali, esempio customer service - penso a chi sbriga tutte le rogne riguardo spedizioni internazionali ai punti vendita, etc..). Ho trovato un breve approfondimento che magari ti interessa http://gestioneimprese.blogspot.it/2013/06/la-gestione-delle-operations.html

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  4. Ciao Zit!
    Io aggiungerei categorie tipo il CRM/Clienteling- chi si occupa di newsletter,analisi di nuovi/returning/local clienti per negozio per region e per spending ,inviti, gifting, e quello che faccio io, Private Client Relations-> relazioni con i VIC (very important Clients) suddivisi secondo categorie di spesa annua TO, oppure totale LTV( life time value) che molto spesso sono quelli che vengono invitati al FS, e fanno big orders in showroom.

    Un salutooooo!

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  5. Questo post mi è STRA PIACIUTO
    completo, divertente, spiritoso, grintoso ed esaustivo
    certo, ci sono milioni di milioni di giovani (e meno) fanciulle, che sognano ancora un futuro in perfetto stile Vivienne Westwood, o Carrie a Vogue...
    io, alle volte, mi sospiro Amanda Prisley, poi mi sveglio e mi ricordo che i veri sogni sono altri, ma certo, anche l'aspetto patinato, fa la sua porca parte!

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  6. Un interessantissimo viaggio in un mondo quasi totalmente estraneo da me.
    Mi piace!

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  7. La lettura di questo post dovrebbe essere obbligatoria alle medie, da ripetere poi almeno una volta all'anno. Grazie, grazie, grazie

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  8. Ciao! Bellissimo articolo. Posso chiederti solo un paio di cose (senza sembrarti troppo venale)? Quali, tra questi, sono i settori dove si può fare più carriera e dove gli stipendi ti consentono una certa stabilità?

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    1. Non posso darti una risposta perché non esiste una risposta. Tutti i ruoli che ho segnalato prevedono ovviamente delle retribuzioni compensate alle responsabilità e all'esperienza. Non c'è un ruolo sulla carta che vale di più di un'altro e in più, io francamente non conosco gli stipendi dei manager.
      Non si può paragonare un responsabile di prodotto con un direttore creativo anche perché richiedono due percorsi differenti. Ovvio che un Christopher Bailey di certo guadagna di più di qualsiasi suo manager sottoposto ma allo stesso modo un direttore creativo a caso del Gruppo LVMH o Kering non credo che prenderà di più di chi decide della sua sorte. Le mie, tuttavia, sono congetture e ho scritto il post per fare chiarezza su chi-fa-cosa in modo tale da intraprendere percorsi in linea con le proprie attitudini. Poi quanto si viene pagati per compiere il proprio lavoro può variare (e di moltissimo) da azienda ad azienda.

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  9. Beh dopo 10 anni di show room, mi permetto di aggiungere solo che: la meritocrazia non esiste, entrate in azienda quando siete giovanissime a farvi le gavette (27-28 anni è tardi) cercate se volete la carriera, di allacciare rapporti di amicizia e fiducia con chi in azienda ha potere. È l'unica cosa che conta. Dove sono io, ci sono ragazzi con master ad Harvard, 4 lingue, straordinarie capacità che sono lí a fare i venditori stagionali, cioè mezzi disoccupati. Contano più i contatti della preparazione.

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    1. Barb, quello dici può essere applicato più o meno a qualsiasi settore del lavoro. Può essere vero come no, molto dipende caso per caso. Certo ci sono le mele marce ma ci sono anche le persone che s'impegnano moltissimo e vengono premiati. Capisco il tuo cinismo ma non ne farei una regola.

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  10. Zit Stilista Top!! Io ho ancora l'abito da diavolo disegnato da te per il musical e realizzato da tua mamma!!! Un abbraccio grande

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  11. Descrizione perfetta per l’organigramma Stile-Prodotto-Retail. Ma credo valga la pena menzionare anche i dipartimenti tecnici di Industrializzazione/Qualitá/AfterSale che si inseriscono tra l’Ufficio Prodotto, l’ordine del Buyer e danno il prodotto fisico allo Stock Allocator. �� é un mondo da scoprire e che potrebbe affascinare chi come me era partito dal Retail ed é finito proprio alle Operations.

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