Chi di voi mi segue su Snapchat, sa che nell’ultima
settimana sono stata a New York per lavoro e, visto che ci ero già stata 5 anni fa e gran parte delle attrazioni turistiche le avevo già eliminate dalla lista,
mi sono dedicata ad attività nuove che, conoscendomi, 5 anni fa non avrei mai
nemmeno azzardato a chiedere.
Se c’è una cosa che il progetto Cityrunners (ora Adidas Runners) ha fatto alla sottoscritta è quello di cambiare completamente il mio
approccio allo sport: se prima avevo qualche pudore ad approcciarmi a qualsiasi
attività al di fuori della mia comfort zone, adesso mi ritrovo ad iscrivermi a
corsi in una città completamente sconosciuta come New York per il gusto di “provare
qualcosa di nuovo”.
Correre mi ha aiutata a mettere a fuoco i miei limiti e a
superarli: quante volte ho pensato “DIECI KILOMETRI SONO UN’ENORMITA'” salvo
poi finire a farli con relativa poca
fatica e addirittura spingermi a farne 13 o 14 (c’è da dire che sulla mia
bucket list c’era anche l’idea di completare una Mezza maratona, ma temo che
rimarrà sulla mia bucket list per parecchio).
Lo sport è diventato per me quella mitica soglia “della
morte nera” -come l’ho sempre definita su queste pagine- quel momento in cui
Fatica 1 – Lucia 0 che per me avveniva intorno al 3° o 4° km ma che, una volta
superata, mi faceva telare tranquillamente fino al decimo. Ecco, quella soglia,
nella mia esperienza, l’ho sperimentata in ogni workout nuovo, in ogni attività
nuova che mi sono apprestata a fare. Sarà che sono testarda ma devo dire che
nonostante tutta la fatica del mondo non ho mai mollato a metà una corsa, o un
circuito o una classe…anche se non sempre questo è un bene (correre con un
infortunio è da cretini, non da eroi e me lo dico da sola!).
Lo sport, la corsa nella fattispecie, mi ha insegnato
innanzitutto a spostare sempre più in là la soglia del dolore (sto ancora
curando l’infiammazione al tibiale anteriore nata 3 anni fa, dopo le prime
settimane di allenamento) ma soprattutto a spostare sempre più in là la soglia
della –mia- fatica. Perché la fatica non la detta il corpo ma la mente. Il
cuore e i polmoni sono dei muscoli e si possono allenare: oggi non riesco a
saltare con la corda più di 30 secondi, ma se ci riprovo e ci riprovo e ci
riprovo arriverò a saltare 45 secondi e poi un minuto. E lì la sfida.
Io sono una persona molto severa, con tutti ma soprattutto con
me stessa e amo le sfide ma non sono per niente competitiva. Le sfide che amo
sono quelle contro me stessa perché conosco l’avversario e so quali sono i
punti forti e i punti deboli. Ad esempio: so che per me fare addominali non
sarà mai faticoso quanto fare piegamenti, oppure quanto completare una serie di shoulder press (alzare il bilanciere sopra la testa).
Il corpo è una macchina (“perfetta” a sentire gli osteopati)
e durante l’attività sportiva è come correre la formula uno: stai facendo
movimenti che ti sono famigliari (quanti squat si fanno durante un trasloco?)
ma pompati all’ennesima potenza e quando il trainer ti dice che lo devi fare tu lo guardi come se ti stesse
chiedendo di camminare sulla luna ma poi ti metti a farlo e BAM: magari sbagli,
magari non ti riesce ma t’incaponisci e dici “no cazzo, è una questione
personale, ora sto qua fino a che non finisco questa serie di 10 burpees”.
Nonostante non corra più (scusa Adidas), riconosco il merito del mio cambio di mentalità alla
corsa ma che ora applico tranquillamente a qualsiasi tipologia di allenamento:
funzionale (crossfit), calisthenics, weight training, barre, etc. Ma la cosa
più sconvolgente per me è che questo approccio mentale poi ti segue anche nella
vita di tutti i giorni: anche al lavoro, anche nelle riunioni, anche nelle
relazioni. Bhè certo, con le dovute differenze!
Insomma, tutte questi sport un po’ più “pesanti” che ho
cominciato a fare mi hanno insegnato a lanciarmi: parto, faccio, non capisco,
chiedo, mi fermo un secondo e prendere fiato ma arrivo alla fine.
Chissenefrega se si tratta di una classe di Soulcycle e non
mi piace lo spinning, chissenefrega se è una classe di Barre e non appoggio le
mani ad una sbarra dal 2001. Chissenefrega se è una palestra nel cuore di Soho
e non ci ho mai messo piede e parlano tutti inglese e io magari non mi so
spiegare. Si va, si prova, parlo maccheronica e a gesti e mi metto alla prova.
Me, il mio inglese e i miei glutei.
Per altro, si dice che variare gli allenamenti (cross
training) sia di gran beneficio al corpo: ai muscoli, all’apparato articolare
ma soprattutto al cervello che in questo modo non ha tempo e modo di abituarsi
e annoiarsi.
Dopo questa doverosa premessa, eccomi quindi a raccontarvi
cos’è sto benedetto Soulcycle.
Gli americani sono gente semplice: gli dai in mano una
foglia di cavolo riccio e scoprono che i vegetali fanno bene e da quel momento
in poi il kale te lo ritrovi anche nel caffè della mattina. Allo stesso modo
gli dai una bicicletta, della musica a palla, una stanza buia e un po’ di
fantasia e VOILA’ ecco una classe di Soulcycle.
Soulcycle è un brand (e ti pareva, loro brevettano anche l’aria
che respirano: Crossfit, Zumba, Barry Bootcamp etc sono tutti brand) relativo
ad un workout molto simile allo spinning (quindi biciclette fisse con il
modulatore di inclinazione) che ha fatto letteralmente impazzire in America. Mi è capitato di menzionare quando ero in ufficio a New York che sarei andata a
provare una classe di Soulcycle e una collega è esplosa “OH MY GOD I LOVE
SOULCYCLE! YOU’RE GONNA LOVE IT!!!”. L’anno scorso avevo provato a fare una lezione di spinning con un’amica perché la mia unica esperienza di bicicletta risaliva
a 15 minuti di prova quando avevo 18 anni (dai quali ero uscita molle come una
medusa), ma ne ero uscita convinta che non facesse per me.
Posso dire che rimango abbastanza dell’idea che non sia per
me (rispetto all’anno scorso almeno nei giorni successivi non ho avuto problemi
a farmi un bidet, cosa che l’anno scorso mi era sembrata impossibile per il
dolore causato dal sellino) ma almeno questa volta l’esperienza è stata più divertente.
Capisco perché i newyorkesi apprezzano questo allenamento:
_Ci si chiude in una stanza buia (e senza finestre nel mio caso, ma sono quasi certa che le finestre siano un optional a NY) senza cellulari
_ Per 45 minuti si è completamente estraniati da tutto (“Là fuori potrebbe scoppiare una bomba e noi nemmeno lo sapremmo perché siamo chiusi qui dentro” – “Esatto!”)
_La musica incide al 80% sul giudizio complessivo: bad music bad workout
_ Sanno come creare una sensazione di “community” tra persone sconosciute ma che stanno condividendo la stessa fatica mortale (vabbhé, mò esagero) a forza di “WE ARE ALL IN THIS TOGETHER!!”
_Ci si chiude in una stanza buia (e senza finestre nel mio caso, ma sono quasi certa che le finestre siano un optional a NY) senza cellulari
_ Per 45 minuti si è completamente estraniati da tutto (“Là fuori potrebbe scoppiare una bomba e noi nemmeno lo sapremmo perché siamo chiusi qui dentro” – “Esatto!”)
_La musica incide al 80% sul giudizio complessivo: bad music bad workout
_ Sanno come creare una sensazione di “community” tra persone sconosciute ma che stanno condividendo la stessa fatica mortale (vabbhé, mò esagero) a forza di “WE ARE ALL IN THIS TOGETHER!!”
L’allenamento di per sé si differenzia un pochino dal
classico spinning perché anziché concentrarsi solo sulla velocità di pedalata
(in salita, in discesa e basta), aggiunge anche dei piccoli circuiti con le
braccia (facendo piegamenti in avanti verso il manubrio). La scoperte dell’acqua
calda direte voi? Bhè, sì. Alla fine si ha la sensazione di avere sì i glutei
in fiamme ma di aver lavorato “total body” e non solo sulle gambe.
Sotto al sellino ci sono due pesetti (i miei erano troppo
leggeri) per eseguire qualche altro esercizio di braccia. Infine l’intero
workout viene completato mantenendo sempre in piedi sulla bici con i glutei alti, praticamente mai
appoggiati al sellino.
Non sono un’esperta di spinning quindi magari ci sono
insegnanti che avevano già introdotto queste piccole varianti, ma si sa come
sono gli americani no? Molto rumore per nulla. Anzi, pensavo nei giorni seguenti di accusare
qualche doloretto muscolare ma non è stato così. Peggio, molto peggio invece è
stato Barre. Ma ve lo spiego in un altro post!
Sopravvissuta e felice
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